Venerdì 9 Agosto 2002 - Libertà
Suite di danze per un "Lago" in miniatura
Pubblico numerosissimo per l'ultimo appuntamento del Farnese Musica Festival. "Isolati" i pezzi più a portata di mano per il giovane corpo di ballo
Forse occorrerà dirlo subito, senza esitazioni né infingimenti: il Lago dei cigni della Compagnia Internazionale di Balletto del Teatro dell'Opera di Dniepropetrovsk che ha chiuso l'altra sera nel cortile di Palazzo Farnese il Farnese Musica Festival 2002, non era proprio il Lago dei cigni. La danza proposta dalla giovane, acerba compagnia di balletto ucraina è stata più una Suite di danze tratte dal Lago dei cigni, ed è precisazione non di poco conto. Quale melomane sarebbe disposto a chiamare pienamente Tosca un concerto di sole arie, tanto più quando queste non venissero eseguite nella loro più vasta estensione virtuosistica, e appunto magari potenziate e arricchite di acuti e gorgheggi proprio per l'occasione seriale, ma invece canticchiate a pezzi e bocconi, così come tra buoni allievi di conservatorio, con un po' di goliardia, e con lo stesso disimpegno artistico di un canto mattutino sotto la doccia. Forse il numerosissimo pubblico accorso per vedere il classico per eccellenza della tradizione ballettistica, un pubblico attento ed eterogeneo, probabilmente non sempre esperto per la troppa poca danza che a Piacenza è possibile vedere, ma certo interessato e generoso, forse questo pubblico resterà con un'idea profondamente distorta del balletto, del suo complesso linguaggio coreografico, dell'articolata architettura del movimento che lo sorregge, della ricchezza tematica che offre il suo repertorio. Chi insegna la dimensione pratica, teorica e storica di questa disciplina, dalle accademie alle scuole di danza alle università, conosce molto bene gli scogli e le difficoltà per avvicinare i giovanissimi a questo linguaggio madre, che fonda e giustifica quasi tutte le declinazioni moderne e contemporanee della danza più recente, ma ben conosce anche la sua evidente attualità, la sua capacità in quanto linguaggio non verbale con un potente coinvolgimento psicofisico di collegare e unire in una passione comune, in una stessa febbre, i pubblici più diversi e la sua chiara vocazione a poter essere il linguaggio più rappresentativo, per le arti dal vivo, del nostro futuro. La Compagnia Internazionale di Balletto del Teatro dell'Opera di Dniepropetrovsk, confermando le incertezze e gli imbarazzi del precedente lavoro, per l'esibizione piacentina ha isolato le danze non tanto più significative, o i momenti più virtuosistici e tecnici, ma quelli più alla portata del giovane corpo di ballo, quei momenti che consentissero inoltre una pur minima unità del racconto. Così, la prima apparizione del cigno, sulle soglie del lago moscovita di Novospassky, in un piccolo parco di grande suggestione e magia all'ombra di un monastero, un'apparizione che spesso viene riconosciuta dagli interpreti come un evidente inveramento formale del perturbante freudiano (e basterebbe qui richiamare le versioni di Mats Ek o di Matthew Bourne), altro non era che uno sguardo veloce e allusivo del principe verso tutto quello che in scena non c'era o non poteva esserci, poiché nemmeno una sagoma, una luce, un fazzoletto bianco o una banderuola affumicata si è potuto intravedere sullo sfondo, e allo spettatore altro non è restato che trovarne sorpresa e conferma, qui e per altri momenti ancora, nella dettagliata trama stampata e fornita all'ingresso. Su di un palcoscenico troppo stretto per l'esibizione di un pur contenuto corpo di ballo, in un'assenza totale di scenografia, il ballerino più vivo, quello nel ruolo del buffone di corte (Serghei Badalov), ha spesso pirouettato nel primo atto fra gomitate e spintoni di un corteo improvvisamente sovraffollato. Un meritato plauso va, nel secondo atto, al sempre suggestivo ingresso dei diciotto cigni bianchi, tutte ragazze in tutu bianco come impone la tradizione, ben regolate e in un accordo d'insieme che ha funzionato e finalmente colpito; per il resto, in un'assenza totale di coreografia, e insomma di passi, anche le note di Chajkovskij, in cui per la prima volta nella storia la musica per balletto raggiunge la dignità delle composizioni indimenticabili, e in cui ogni personaggio ha la sua melodia come per sottolineare l'importanza e l'autonomia non gregaria della dimensione psicologica di ognuno, hanno stentato a trovare un senso per l'insieme. La protagonista (OLga Dorodina), troppo legnosa, forse più adatta per Coppélia che per Odette/Odile, ha faticato nel restituire le forme morbide e piumate del cigno in questione; Rothbart, il cattivo (Igor Kassian), ha inutilmente sbracciato tutto il tempo la sua dedizione al male, fino a soccombere nel vacillante duello finale con il principe Siegfried. Infine, se pur è difficile vagliare e scegliere una programmazione estiva che, ma non necessariamente, si vuole disimpegnata, occorre sottolineare per ora l'indiscussa importanza della presenza negli appuntamenti del Farnese Musica Festival non solo del balletto ma di due importanti titoli di tradizione che, se svolti con diverse e più interessanti necessità, sono in grado di restituire intatte e senza mediazioni, dal passato della storia, tutte le ragioni e i conflitti del nostro tempo presente.
Stefano Tomassini