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Lunedì 26 Agosto 2002 - Libertà

Con Xerra alla ricerca di verità fra le menzogne

Intervista ad Aldo Tagliaferri e Giorgio Celli che saranno al dibattito del 14 settembre

"Ne sentiremo delle belle", chiosa Aldo Tagliaferri, uno dei dieci relatori chiamati a discutere di menzogna e finzione il 14 settembre prossimo alla Fondazione di Piacenza e Vigevano, nell'ambito del convegno nato intorno all'opera odierna di William Xerra, quella confessione - "Io mento" - diventata manifesto e come tale presentata in giugno a Milano attraverso una video-lettura di Pierre Restany. Ne sentiremo delle belle, forse, perché è probabile che sfugga tanto alle regole che allo scopo, un convegno nazionale che intenda proporre alcune verità sulla menzogna, vale a dire sull'atto del mentire, sulle apparenze poste come un velario tra realtà e percezione. Gli altri relatori saranno Gillo Dorfles, i filosofi Pier Aldo Rovatti, Andrea Bortolon e Andrea Borsari, i critici Loredana Parmesani, Lucia Miodini e Giulio Ciavoliello il critico teatrale Antonio Calbi e l'etologo e scrittore Giorgio Celli. Dieci relatori per un'autopsia sul corpo della finzione eseguita mentr'essa è ancora in vita, mentre anzi è ben dispiegata e quasi quasi data come metodo, forma e stile. Ma insomma: tirare in ballo la menzogna nell'arte poteva sembrare la fiera dell'ovvietà, e invece si scopre che in quanto a menzogna l'arte è costretta a far da parafulmine di tutto il resto, e che parlare di bugie è sempre un po' come parlar di corda in casa dell'impiccato. E dunque Aldo Tagliaferri e Giorgio Celli sono i primi relatori che abbiamo sentito: a loro abbiamo chiesto di anticipare il motivo conduttore dell'intervento di Piacenza. "Spero non accada che qualcuno provi a spiegare l'operazione di Xerra come una rivelazione della verità sull'arte, la vita, la società. Perché sarebbe davvero una grande menzogna", premette Tagliaferri, che nella locandina del convegno ci è dato come saggista. In particolare, è uno dei maggiori studiosi dei luoghi di incontro tra arte visiva e letteratura: è l'autore di alcuni studi fondamentali per la conoscenza del poeta romano Emilio Villa; il curatore per Einaudi della raccolta delle opere teatrali di Samuel Beckett (autore che sulla finzione avrebbe da dire); negli anni Sessanta, compagno di strada dei poeti delle neoavanguardie letterarie (dai Novissimi al Gruppo 63), vale a dire proprio di quelle istanze letterarie che per mezzo del testo incrociarono nei territori dell'arte visiva: poesia visiva, concreta o fonetica. Frutto di quella militanza sono alcuni profili storico-critici di autori e movimenti tra gli anni sessanta e settanta, oltre all'incontro con William Xerra - di cui avrebbe poi curato il volume monografico uscito alcuni anni fa per Mazzotta. Tagliaferri è soprattutto figlio di quel razionalismo lombardo che, con occhio politecnico, spinge a studiare, del linguaggio e del fare artistico, il rovescio e lo scandalo. Per il 14, ci dice, non ha ancora organizzato i pensieri in un intervento. "Penso che l'iniziativa prenderà un passo teatrale - ipotizza -, diventerà una scena sulla quale diverse persone di formazione e provenienza diversa, di interessi diversi, discuteranno intorno a un argomento vasto senza riuscire a trovare un coordinamento, un filo conduttore. Dico questo per due motivi: in primo luogo perché la discussione prenderà le mosse da un paradosso, e intorno a un paradosso le opinioni divergono sempre; in secondo luogo perché William, dopo aver tirato in ballo questo antico paradosso della menzogna, se ne ritrae lasciando a altri l'ingrato compito di levare le castagne dal fuoco. Così io credo - conclude - che se la caverà meglio chi avrà la mano più leggera, chi riuscirà a non irrigidirsi in una visione dottrinaria o strettamente speculativa del tema." L'altro relatore raggiunto in quest'ultimo scorcio di vacanza è Giorgio Celli, noto soprattutto come etologo, la disciplina di cui è docente universitario a Bologna, la sua città, e di cui ha raccontato in anni recenti in una serie televisiva della Rai. Negli ambienti letterari e artistici, però, Celli è scrittore ricordato per il lavoro condotto nell'ambito della stessa neoavanguardia cui abbiamo accennato prima, e che in Emilia - tra Modena e Bologna - aveva trovato negli anni Sessanta e Settanta un centro di gravità riconosciuto a livello europeo. Con Xerra, Celli ha condiviso alcune esperienze e alcuni compagni, da Adriano Spatola (il suo primo libro, intitolato "Il pesce gotico", uscì per la casa editrice di Spatola nel 1969) a Corrado Costa. "Mi sembra che l'iniziativa sia divertente - commenta Celli -: il tema si collega all'antica immagine dell'arte come finzione, da cui l'idea dell'artista come mentitore. Per la precisione penso che l'artista menta in due modi: da una parte mente quando inventa, crea qualcosa che è solo apparenza; e dall'altra mente perché finge di partecipare. Le faccio un esempio: molti pensano che l'artista scriva o dipinga o componga nel corso di una particolare esperienza ispiratrice: sotto l'effetto di droghe allucinogene, per esempio, oppure quando è ubriaco o in qualche modo alterato nella percezione delle cose. Invece non è vero niente: in realtà l'artista scrive quando l'esperienza si è conclusa, cioè quando lui è lucido. Descrive emozioni che non prova più, percezioni che non avverte più. Scrive di una cosa che è stata. Ma solo così può realizzare un'opera capace di trasmettere ad altri una copia di quella stesse emozioni che ha provato lui." Prosegue Celli: "L'arte non è che fiction, e dunque l'artista è sempre un affabulatore, uno che ci racconta favole. L'avanguardia poi, da cui William proviene, è stata la massima espressione di questa menzogna, perché l'ha rivelata. Operando come in un laboratorio, attraverso la sperimentazione, essa ha descritto i modi in cui l'arte mente. Al contrario di uno scrittore tradizionale - per esempio di un Dickens, di cui si racconta piangesse leggendo i propri romanzi tant'era la sua immedesimazione nella vicenda narrata - un autore d'avanguardia mostra le fasi del il processo con cui si crea la menzogna, confessa di star fingendo e lo dimostra. Ma poi, al raggiungimento del massimo livello di finzione, ci cade anche lui e finisce con il credere che sia vero quello che sta descrivendo e che sta dicendo. Ecco: l'arte, sotto questo punto di vista, è un addestramento all'autoinganno. Mi viene in mente una di quelle belle frasi celebri di Oscar Wilde, che dice: buttiamo via il viso per vedere che maschera c'è sotto".

Eugenio Gazzola

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