Venerdì 27 Settembre 2002 - Libertà
Guillou, raffinati gioielli all'organo
Settimana organistica - Apertura in grande stile e molto pubblico, un successo in San Savino. E con l'Ofi diretta da Berzolla archi e timpani incantano
Mancava una cosa sola (ma la sua assenza non ha pesato granché) al fenomenale concerto che l'altra sera in San Savino ha inaugurato la 34° Settimana Organistica Internazionale, col sommo organista parigino Jean Guillou gli archi dell'Orchestra Filarmonica Italiana - all'apice della forma - diretti da Massimo Berzolla. L'unico ingrediente mancato a questa grande festa di musica era il restauro dell'organo costruito in San Savino dai fratelli Lingiardi nel 1860 ed elettrificato dalla casa Tamburini nel 1942-43. Nonostante la ristrutturazione operata dagli stessi Tamburini nel 1991, questo strumento versa in condizioni critiche: un gran peccato, non solo per il pregio dello strumento in sé, ma anche perché - coi suoi ben 32 pedali - il Lingiardi-Tamburini di San Savino è uno dei pochissimi strumenti della nostra città in grado di affrontare molta letteratura organistica del tardo Ottocento e del Novecento. Ora, quella manifestazione assolutamente straordinaria che è la Settimana Organistica ha sempre avuto, come titolo di merito non secondario, la promozione del recupero del nostro preziosissimo patrimonio organario. Per questo il Gruppo Ciampi (che organizza la Settimana col Comune, la Provincia e la Fondazione di Piacenza e Vigevano) non nascondeva, l'anno scorso, la sua speranza di poter inaugurare l'edizione 2002 della rassegna in San Savino con un Lingiardi-Tamburini parzialmente rimesso a nuovo grazie al sostegno di uno sponsor privato. I tempi della burocrazia, purtroppo, non lo hanno reso possibile; tanto che alcuni abili organari, nei giorni precedenti il concerto, hanno vigilato sul Lingiardi-Tamburini "malato" affinché tutto andasse bene. Tutto, fortunatamente, è andato benissimo, offrendo ai (numerosi) spettatori un saggio eloquente dell'arte di uno dei massimi organisti dei tempi nostri. Non è il caso di spiegare al pubblico piacentino chi sia Guillou, che con la nostra città ha un rapporto privilegiato. Vale ugualmente la pena, però, di sottolineare la monumentalità e l'eclettismo senza confronti dell'attività musicale dell'uomo che - quasi simbolicamente - è organista titolare del più grande strumento di Francia (quello di Saint-Eustache in Parigi). Come certe grandi figure del passato, Guillou assomma in sé il compositore, l'esecutore celebrato (votato al gigantismo anche come interprete: vedi le sue esecuzioni "live" in dieci serate consecutive dell'integrale dell'opera per organo di Bach), il (trascendentale) improvvisatore vecchio stile, il teorico autore di libri, persino l'organologo che fa costruire strumenti secondo le sue indicazioni. C'è qualcosa di peculiarmente, tradizionalmente francese in questa vena artistica enciclopedicamente "quantitativa". Ma il pantagruelismo intellettuale di Guillou è agli antipodi della nevrosi barocca del virtuoso che sente di dover mettere in mostra a ogni passo tutte le sue capacità: la ricchezza dei suoi mezzi, al contrario, è da lui concepita come la massima condizione di libertà. Ecco, così, che in San Savino hanno potuto coesistere pièces de résistance schianta-mantici (la poderosa trascrizione organistica del Prometheus, poema sinfonico di Liszt) e deliziose nugae come l'arrangiamento della marcetta di L'amore delle tre melarance di Prokofiev, concessa come bis. Tra i due estremi, tersi e raffinati gioielli come lo Scherzo e allegro della Seconda Sinfonia per organo di Louis Vierne e il meraviglioso Concerto in Sol minore per organo, orchestra d'archi e timpani di Francis Poulenc che ha chiuso in bellezza la serata, con gli ascoltatori entusiasmati dal suono degli archi e dall'imponente vigoria dei timpani. Ma il momento della serata che più ci ha impressionati è stato uno in cui l'organo addirittura taceva e Guillou appariva solo come compositore: la Seconda Sinfonia op. 27, da lui scritta nel 1960. Il teso rincorrersi degli archi in un climax parossistico che vedeva gli impasti sonori mutare di istante in istante (e che trovava requie, solo nell'emozionante, austero pedale conclusivo affidato ai contrabbassi) è stato reso da Berzolla e dall'Ofi con tale intensità che c'è da chiedersi quali emozioni ci potremo attendere, in futuro, dall'uno e dall'altra.
Oliviero Marchesi