Domenica 15 Settembre 2002 - La Voce Nuova di Piacenza
Io mento lo spazio tra significante e significato
"Io mento lo spazio tra significante e significato mento sulla verità come inganno mento sulle mie insicurezze…" la voce e il volto di Pierre Restany, attraverso un filmato già presentato in giugno alla Fondazione Mudima di Milano, si impongono all'attenzione degli astanti. La presenza-assenza di Restany diviene un tassello della rappresentazione a cui i vari relatori, filosofi, critici e storici dell'arte, saggisti, sono chiamati da Xerra a partecipare. Il punto focale del convegno, l'IO MENTO, viene visualizzato dall'artista mediamente una scritta bianca posta su di baule che insieme ad altre opere e ai gesti artistici di Xerra costituisce qualcosa con cui siamo quasi obbligati a misurarci.
Il baule che in quanto oggetto-involucro rappresenta la vita, cioè il contente in cui trovano posto i nostri dubbi, le nostre menzogne?
Il grafema, IO MENTO è centrale ed è in alcuni casi sovrapposto ad un altro segno grafico VIVE che viene legato ad esso come se vivere e mentire fossero attività umane imprescindibili l'una dall'altra.
Xerra non è nuovo a queste provocazioni, nella presentazione del volume "Generazione anni trenta", a cura di Giorgio Di Genova, lui stesso ricordava l'esperienza della lapide con uno specchio al posto della foto del defunto, quindi ancora una spinta dell'artista in quanto uomo a confrontarsi con sé stesso.
I contributi dei partecipanti sono preceduti da un intervento di Enrico Sgorbati, che alla fine degli anni novanta si è fatto promotore, attraverso la sua azienda vitivinicola, di una serie di iniziative riguardanti soprattutto la promozione dell'arte contemporanea. Questo convegno e la mostra, IO MENTO, che ha come sede l'azienda di Torre Fornello ne sono una tangibile testimonianza.
Eugenio Gazzola introduce i relatori che affrontano il tema della menzogna, del gioco fra realtà e finzione, dell'arte che di volta in volta è stata fedele rappresentazione della realtà oppure ha cercato di allontanarsi da essa il più possibile, diventando altro da essa e quindi punto di osservazione privilegiato. Ma può l'arte assolvere questa funzione?
Quest'ultimo concetto viene espresso dalla critica d'arte Loredana Parmesani che analizzando il cammino artistico delle avanguardie e transavanguardie, negli anni '60 e '70, sottolinea come queste abbiano perseguito con forza la capacità dell'arte di "essere luogo dove il vero è cercato e trovato". Il lavoro di Xerra si è sviluppato in tale direzione, nelle sue opere l'elemento figurativo e quello verbale si intrecciano per creare un linguaggio capace di affermare una visione della realtà, di porsi il problema del dire il vero attraverso gli strumenti tipici dell'arte. Di quale vero si sta parlando? Il mondo che ci si presenta sembra aver perso ogni certezza, sembra aver abdicato ad una qualsiasi ricerca di una possibile verità. Il mondo che oggi ci si presenta sembra aver perso ogni certezza, quindi l'arte che gli corrisponde non può che tenerne conto. Xerra è consapevole di tutto ciò. La menzogna ci circonda ci è necessaria perché è ciò che il mondo ci dà e ci chiede, Xerra afferma IO MENTO consapevole che il gioco della menzogna è una realtà da cui non posso prescindere e devo confrontarmi per ritrovare una dimensione dell'essere e dell'agire.
Giulio Ciavoliello porta il discorso della finzione a livello cinematografico rifacendosi a due film "Totò, Eva e il pennello proibito" del regista Steno e uno di Orson Wells " F come falso" del '75, in cui si riafferma il labile confine tra la definizione di vero e falso nelle azioni dei protagonisti delle due pellicole, abili falsari.
Il filosofo Pier Aldo Rovatti rende omaggio alla menzogna come salvaguardia in tutti i campi del sapere dello "spazio-gioco", interpreta la menzogna come una via d'uscita per l'uomo che si sente stretto da parole come "funzionalità". Ridefinire il rapporto non solo tra vero e falso ma anche il concetto di vero oltre alle varie declinazioni del falso, dei vari tipi di menzogna, oltre alla posizione del soggetto rispetto alla menzogna.
E' però opportuno sottolineare che se so di essere bugiardo, so anche che c'è una verità custodita che non sono disposto a svelare, quindi la consapevolezza della menzogna.
Antonio Calbi, critico teatrale, si collega al teatro come arte della finzione e alla figura dell'attore come fingitore per eccellenza. L'attore da duemilacinquecentoanni finge qualcosa che è reale, ha sempre rappresentato questo paradosso. La realtà stessa ha in sé connaturate verità e falsità, è un intreccio di questi due aspetti. L'arte ci permette di scoprire la realtà, il teatro è disvelatore di essa.
Centrale è l'intervento del filosofo Andrea Bortolon, letto da Loredana Parmesani, figura fittizia, inesistente che ben si inserisce in questo gioco tra realtà e finzione, tra menzogna e verità. Un confine sempre più labile separa questi concetti l'uomo non può prescindere dalla finzione.
Il filosofo Andrea Borsari ha spostato l'attenzione sull'opera di Xerra riconoscendo il suo privilegiare la giustapposizione, cioè mettere gli elementi a contrasto anziché cercare di fonderli in una sorta di sintesi, oltre al costante uso di quella finzione della finzione che sembra privilegiare la via indiretta al dire, non c'è un'unica possibilità per percorrere un cammino. L'etica della rappresentazione è connaturata all'uomo, è mescolanza di vissuto e recitato, esigenza presente anche in popolazioni primitive, attraverso riti sacri o magici. La realtà si presenta sempre anche attraverso la finzione, come combinazione inestricabile.
William Xerra, secondo la storica dell'arte Lucia Miodini, attraverso quest'opera mette in atto un paradosso per interrogarsi e interrogarci, e lo fa con la costruzione in immagine, in atto artistico tangibile che sembra essere una sorta di "protezione". Lucia Miodini sottolinea la centralità dell'atto fotografico nell'atto artistico di Xerra attraverso le tecniche messe in atto in alcune opere, quali il plottaggio.
L'esperienza e la partecipazione alle avanguardie, nel Gruppo '63 con Spatola e Costa, di Giorgio Celli lo portano a dire che il grande artista non sta nelle convenzioni proprio perché queste devono essere da lui scardinate. Il plauso generale definisce il criterio di verità, quindi l'artista deve stare fuori da questo consenso, suo compito è sperimentare.
Così nel recupero, fatto dal Gruppo '63, del procedimento della scrittura automatica messa in atto da Bréton in maniera fittizia, cioè impiegando il risultato e non la metodologia è chiara la componente menzognera, senza menzogna non c'è arte.
L'arte è invenzione, si inventa qualcosa quindi che non è reale, che non esiste, quindi si mente.
Il passaggio dall'imprimatur del VIVE a quella del MENTO, secondo il saggista Aldo Tagliaferri, non segna una grande trasformazione all'interno del percorso di Xerra.
La questione della verità non lo interessa, gli interessa provocare la discussione ma ne rimane fuori, per altro tale posizione sembra essere affermata anche fisicamente da Xerra che resta seduto fra il pubblico senza partecipare al dibattito. Il manifesto IO MENTO non è programmatico, il testo è una provocazione, fingendosi rassegnato ad una menzogna, sembra che al di fuori della sua opera vi sia la verità, in realtà Xerra si è trincerato in una posizione di estraneità rispetto alla definizione di cosa sia verità o menzogna. L'arte non è detentrice di nessuna di queste due posizioni.
L'aspetto di gioco non deve essere sottovalutato nell'opera dell'artista piacentino, nella stele formata da insegne politiche con su scritto IO MENTO è chiara questa componente.