Mercoledì 30 Ottobre 2002 - La Voce Nuova di Piacenza
Barbara, sussurri d'amore
In Fondazione omaggio di Lucia Minetti alla cantautrice francese
Emozioni intense, ieri sera, in Fondazione. Al centro della serata la storia, la vita, l'anima di una delle più grandi cantanti francesi del dopoguerra: Barbara. A ricomporre la biografia e le vicende artistiche della cantante sono stati la professoressa Francesca Melzi d'Eril e il dottor Serge Sauvé che ha parlato più estesamente, anche grazie all'ausilio di un video-clip, della storia della canzone francese contemporanea. I due interventi, oltre ad introdurre il personaggio, hanno spalancato i meandri del cantautorato europeo ed hanno aperto la strada alla seconda parte della serata, quella dedicata alle canzoni. Ad interpretare magistralmente questo momento è stata chiamata Lucia Minetti, mezzosoprano, una delle più acclamate interpreti jazz italiane, autrice di uno splendido disco "Malia".
Voce sensuale, timbrica fluida e decisa la Minetti ha proposto brani dell'universo francese ma anche piccole chicche riferite a cantautori italiani. Si tratta di brani che andranno a comporre l'album di prossima uscita, atteso ai primi di dicembre. Straordinaria davvero, questa Minetti, dalla voce morbida e sensuale e dalla vocalità corposa. Che il concerto offerto alla Fondazione, curato negli arrangiamenti da Daniele Di Gregorio (stretto collaboratore di Paolo Conte) ed ideato da Giorgio Glasini, ha splendidamente esaltato.
Idolo assoluto del paese transalpino, Barbara in Italia non ha mai trovato la meritata consacrazione. Ieri sera, i fraseggi melodici del mezzosoprano si sono amalgamati con le liriche inquiete della "dama della notte" (iniziava a cantare a mezzanotte, nel penombra della sala, illuminata da un faro). Ne è scaturito un rendez vous con la passione, il rancore mai sopito, la malinconia. Rendez vous che ha preso via via le note di Pierre, di Ni Belle, ni bonne e del celeberrimo L'aigle noir.
La malinconia di Barbara, il suo girovagare ossessivo tra i pianti di una generazione, la sua struggente combattività che ancora oggi riesce a far breccia tra le emozioni. Cantava storie di disperati. Il suo canto prestato ai bassifondi dell'umanità. Davanti a lei un pianoforte nero e il buio dell'emarginazione. Il calore della voce che svanisce nel freddo ondeggiare delle rime. Barbara, alias Monique Serf, ha accompagnato i maggiori eventi culturali del dopoguerra francese. Vera e propria icona in Francia, in Italia la voce di Barbara ha rappresentato un prezioso cammeo appeso al giradischi di pochi fortunati. Un'élite di appassionati che non hanno mai smesso di amarla neanche quando per sedici anni, dai primi anni'80 fino al 1997, la sua voce sparì dalle cronache. Il suo ritorno, con un album di successi, fu un trionfo. Un trionfo come nel giorno del suo esordio. Nel lontano 1953 a Parigi. Un bistrot, lo storico "L'escluse", ospitò i suoi primi poetici passi. Sono gli anni che accolgono la seconda vague degli chansonnier francesi. Chanteuse, poetessa, acerrima nemica dell'ovvio che attanaglia il mondo la dama parigina iniziò a comporre alla fine degli anni '50, dopo essersi distinta come interprete d'elezione degli struggenti inni di Jacques Brel e George Brassens. Spicchi di storia. La storia di una cantautrice fuori degli schemi, lontana dalle produzioni ufficiali, estranea ad ogni compromesso. Sbuffi di un racconto ispirato ad un'interprete unica, annoverata, con Edith Piaf e Giuliette Greco, tra le grandi della canzone francese.
Matteo Prati