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Martedì 17 Dicembre 2002 - Libertà

La mostra - Calza tra "rivelazioni" e "svelamenti"

Una personale in due momenti: a Palazzo Farnese e al Laboratorio delle Arti

Una delle prime opere di Maurizio Calza, forse eseguita tra il 1975 e il 1976, è ora ben centrale sulla parete di fondo del Café Balzer di piazza Cavalli. Gli anni dei suoi esordi - e si vede bene in quel dipinto - erano quelli del neoespressionismo di riflusso, che scendeva con violenza di gesto e materia dalla Germania dei "neue wilden", cioè di una pittura, di una manualità, che riprendeva curiosa e febbricitante gli attraversamenti nelle avanguardie storiche: il che significava futurismo, in primis, per un italiano. E pur con le inevitabili ingenuità dell'inizio, il dipinto del Balzer rivela quello che sarebbe diventata l'opera di Calza negli anni successivi, caricandosi di significati più diretti, intimi e umani ma proprio per questo più complessi. Così era tempo di fare il punto su uno dei maggiori artisti di Piacenza, con una buona storia personale in Italia ma del quale mancava un lettura articolata e complessiva. Cosa che questa mostra - "Svelamenti. Opere 1987 - 2002" - dovrebbe rendere possibile. L'iniziativa si tiene contemporaneamente in due sedi da giovedì 19: prima a Palazzo Farnese, alle 17,30; e poi al Laboratorio delle Arti (in via Giordano Bruno 6), alle 18,30. Hanno contribuito alla sua realizzazione innanzituto la Fondazione di Piacenza e Vigevano; poi gli assessorati alla cultura di Comune e Provincia. Non sarà una mostra facile, perché da tempo Calza indica un percorso accidentato che punta verso un territorio inospitale, in cui facilmente accade di fare incontri sgraditi. Il periodo che l'artista propone all'esame è compreso tra il 1987 e l'oggi, vale a dire dai primi esempi delle "Rivelazioni", presentate in forma di tempio o strutture aggettanti, in cui la forma evoca il luogo iniziatico e astorico, quasi di sospensione del pensiero razionale nell'attesa che termini l'eterno rinvio. "Rivelazioni" erano soprattutto momenti di ripensamento, dubbi, autentiche epifanie riprese a partire dalla fisicità del luogo. Quindi ricostruite come tempio, "introito dei". Dalle rivelazioni dichiarate, dunque, fino al ciclo della "Mater matuta", che Calza ha ribattezzato "Dio del giusto orgoglio". E' questo un incontro che risale alla fine degli anni Ottanta e che si è andato aggiustando fino a oggi producendo ancora rappresentazioni liturgiche, luoghi, stanze, soprattutto varchi. Il varco è figura centrale nella tavola elementare di Calza: si identifica talvolta nello stesso spazio del dipinto, quando siamo chiamati finalmente a spiare l'intimità disperata di un'umanità piccola, premuta dal cielo o da una semplice lampadina elettrica che la sorprende gravata da un'antica vergogna. Con l'immagine della "mater matuta", immagine propiziatoria di arcaica derivazione italica, Calza intende rintracciare l'origine delle sue genti, ribadirne l'identità contro la dispersione; scavare un rifugio di protezione nell'intrico mondiale. Incontri sgraditi, dicevamo, sono quelli di persone che riflettono paure e miserie condivise ma interiorizzate per nasconderle. Al solito insomma. Ma lo sguardo dell'artista, in questo caso, non è quello del sociologo; semmai è quello dell'antropologo che cerca un senso all'uomo sul filo del sacro, sul modo di vivere lo spazio o di negarlo agli altri; sul suo concetto di origine e di appartenenza. Temi poi ripresi meglio in un libro che esce per l'occasione - edito nella collana "Le Arti" del Vicolo del Pavone - , da autori come Roberto Tagliaferri, che indaga il rapporto dell'artista col sacro; da Sergio Signorini, che ne ragiona da architetto i rapporti con lo spazio; e da Barbara Tosi, il critico romano che per prima si occupò in modo compiuto dell'artista piacentino. Il libro è stato realizzato con il contributo della Fondazione di Piacenza e Vigevano, mentre la mostra si avvale della collaborazione degli assessorati alla cultura di Comune e Provincia.

Eugenio Gazzola

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