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Venerdì 6 Dicembre 2002 - La Voce Nuova di Piacenza

L'artista non fa più gruppo. Subisce o ama la solitudine?

Il ciclo "Piacenza e altri "luoghi" nel secondo Novecento" ha proposto ieri sera all'Auditorium della Fondazione di Piacenza e Vigevano una tavola rotonda - dibattito sull'arte figurativa a Piacenza. L'incontro ha voluto essere una sorta di ricognizione su quest'argomento non certo un bilancio, operazione che si presenterebbe troppo complessa e in qualche modo forzata, data la scarsa distanza temporale che ci separa da quegli avvenimenti. Il direttore della Galleria Ricci Oddi, professor Stefano Fugazza, ha introdotto la questione dell'arte a Piacenza, ponendo l'accento su alcune questioni, ad esempio che a Piacenza ancora non sono state fatte mostre che si propongano di fare un bilancio del secolo nel campo dell'arte, cosa che accadrà forse in futuro; inoltre al tavolo mancavano alcune componenti quali i galleristi ed i collezionisti che rappresentano un ruolo importante nella vita delle manifestazioni artistiche e degli artisti stessi.
Quindi ieri sera si è tentato di fornire alcuni spunti di riflessione non solo al pubblico ma anche ai protagonisti del dibattito. Stefano Fugazza ha individuato tre correnti pittoriche, un filone facente capo a Ricchetti, Arrigoni, Sidoli e Giacobbi che può essere definito di continuità nella tradizione. Dopo un tentativo di aggiornamento in direzione "fauve" lo stesso Ricchetti tornò alla sua pittura, rimanendo quindi fedele a ciò che aveva sempre fatto, alla tradizione.
Un episodio fondamentale è stata la Scuola di Piacenza, rappresentata da Spazzali, Foppiani, Armodio, tentativo di forte aggiornamento che in qualche modo sembra essere ancora in atto. Infine l'esperienza incarnata da Ludovico Mosconi con il suo aderire all'arte informale e alla grande pittura europea.
Eugenio Gazzola ha afferma con lieve accento polemico che gli artisti sono liberi, che devono essere liberi e che possono muoversi anche da soli, che non c'è bisogno sempre delle Istituzioni. Piacenza è in realtà una città molto più vivace di altre realtà di provincia, comprese Parma e Pavia, a livello di neo - avanguardie.
Quello che si potrebbe fare è agevolare la fruibilità delle manifestazioni d'arte, non è certo pensabile che Piacenza avrà mai circuiti artistici e museali paragonabili a quelli di realtà come Milano.
Una differenza con il mondo letterario, oggetto di precedenti incontri, è la maggiore fedeltà dell'artista piacentino alla sua città, lo stesso Foppiani nonostante le esperienze a Roma e Bruxelles rimase legato a Piacenza, come se ne avesse avuto bisogno per lavorare con tranquillità.
Il pittore Armodio, protagonista della pittura piacentina infatti conferma la serenità e il distacco della vita a Piacenza, più tempo da dedicare al lavoro che alle pubbliche relazioni.
La definizione di "Scuola di Piacenza" nasce da un critico di Bruxelles che conosceva ed era stato nella nostra città, vedendo quadri di Armodio, Spazzali e Foppiani ebbe modo di creare questo termine, che fu usato per la prima volta da Gaetano Pantaleoni, editore della rivista "Selezione piacentina".
La scuola di Piacenza, anche come scuola di scultura in Età Romanica, ha influenzato l'arte dello scultore Paolo Perotti?
Perotti non può sottrarsi a questo influsso storico che è della terra piacentina, anche se come sottolinea, citando le parole del suo scultore preferito Arturo Martini, "L'arte non sopporta né teorie, né stili, viene dall'anima."
L'arte la fa chi ha il dono di farla, il Novecento ha dato la possibilità all'uomo di esprimersi con qualsiasi mezzo, di essere libero, l'uomo si è liberato anche dalla cultura, dall'estetica che rendono l'arte intellettuale, dimenticando che anche il disegno di un bambino può essere un'opera d'arte. Boccioni e Picasso sarebbero stati grandi anche senza il Futurismo e il Cubismo che sono etichette casuali.
La solitudine dell'artista oggi, a Piacenza e non solo, viene messa in luce dal pittore Alfredo Casali, esponente di un'altra generazione di artisti. Casali parla di una difficoltà di comunicazione, di un disagio di collocazione dell'artista dovuto anche al diradarsi degli spazi espositivi e dei critici,. A Piacenza si è verificato un black - out dopo l'esperienza della Scuola, dell'Associazione degli artisti, che era fatta per lavorare insieme, quindi isolamento dell'artista anche dagli altri artisti.
L'artista piacentino, dunque, sta vivendo un momento di difficoltà: "Ci sono problemi di comunicazione - ha constatato Casali - sia tra gli artisti, sia fra l'artista e il pubblico, a causa della mancanza di mediatori. I linguaggi si evolvono, sempre più eterogenei, le mode passano alla svelta: l'artista piacentino è sempre più solo". Solitudine forzata? Secondo Armodio e Gazzola, si tratta di un problema insito nella natura stessa dell'artista: "Qui a Piacenza c'è stato un tentativo di associazione da parte degli artisti; un tentativo dovuto al fatto che, anche in passato, per un motivo o per l'altro ben pochi sono stati coloro che li hanno tenuti in considerazione o si sono rivolti a loro in merito a questioni che toccavano la vita culturale della città. Associandosi gli artisti volevano far sentire la loro voce, la loro presenza. Fallito quel tentativo, ognuno di noi ha seguito la propria strada".
Un dibattito senza scosse, nostalgici ricordi e pareri pacati finché a prendere la parola è stato un, fino a quel momento silenziosissimo, Luigi Baggi.
"Ho sempre sognato di dire, un giorno, qualcosa di importante. Questo tavolo, stasera, non sta dicendo nulla. Perotti ha affermato che l'arte, con la cultura, c'entra poco: siamo qui a disquisire di ricordi, e non diciamo nulla; c'è qualcuno che ha parlato in modo approfondito della scuola piacentina? No, solo ricordi. Se la cultura non serve all'arte noi artisti non dobbiamo permetterci di stare qui a raccontare storie al pubblico: il nulla che si sta dicendo qui è indicativo del vuoto in cui viviamo".
Sentendosi direttamente chiamato in causa, Perotti ha prontamente replicato esponendo il suo punto di vista in merito al significato dell'arte: "Ribadisco: non è la cultura a produrre l'opera d'arte. E' da un miracolo che nasce la vera opera d'arte; è magia, è qualcosa di indefinito che sa colpire e toccare in profondità le corde dell'animo umano. Arte è avere qualcosa di bello dentro, ed essere in grado di esprimerlo".
Da questo piccolo scontro tra poetiche, Fugazza ha colto l'opportunità di sottolineare come, al giorno d'oggi, uno dei problemi più urgenti per l'artista sia costituito dall'estrema eterogeneità dei linguaggi: "In passato il pubblico per così dire "medio" apprezzava e capiva il tipo di arte apprezzata dagli intellettuali, che fungevano da guida. Oggi il pubblico medio si trova in gran confusione: alcuni artisti valorizzano l'oggetto, altri lo dissolvono; alcuni parlano di arte - miracolo, altri di arte - produzione".
Secondo Perotti, la grande varietà di linguaggi è un'arma a doppio taglio: "Il fatto di non essere più legati, per essere apprezzati, ad un'estetica precisa, è una grande conquista: ognuno è libero di arrivare a creare arte seguendo la propria strada. D'altro canto non avere canoni estetici precisi cui far riferimento, conduce talvolta l'artista a rinchiudersi in un suo piccolo mondo: fatto, di per sè, limitante".
Domande dal pubblico? Soltanto una. Poi, tutti a casa.

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