Domenica 1 Dicembre 2002 - La Voce Nuova di Piacenza
"Il futuro della TV ormai appartiene alle emittenti locali"
"Quando ho ricevuto l'invito a parlare ad una conferenza dal titolo L'alba dei linguaggi: dalla neo - avanguardia a Rai Tre, sono rimasto scioccato". Con queste parole Angelo Guglielmi ha aperto il terzo incontro dei Testimoni del Tempo l'altra sera alla Fondazione di Piacenza e Vigevano. Con il suo stile pacato, parlando a mezza voce con gli occhi bassi e calibrando ogni singola parola - soprattutto quando si è accennato al suo possibile reinserimento nel Consiglio di Amministrazione Rai, domanda che ha elegantemente sviato - Gugliemi, ovvero l'ideologo di quella Rai Tre che ha proposto alcuni fra i format televisivi più innovativi, da Blob a La TV delle Ragazze, da Fuori Orario a Samarcanda, ha ricostruito la sua esperienza di direttore della Terza Rete non mancando di lanciare uno sguardo alla televisione attuale. "Soprattutto la prima parte mi ha scioccato. Alba dei linguaggi … mi sembrava un argomento molto ambizioso, come se dovessi parlare dell'origine di un mondo. La seconda parte, invece, trattando del mio lavoro a Rai Tre, ha rimesso a posto le cose".
Entrato in Rai nel 1955, Gugliemi, si trova di fronte ad una rete che di televisivo manteneva solamente il nome. Rai Tre era una non televisione che tradiva tutti i principi basilari del mezzo "principe" della comunicazione. Le mancava la vocazione dello strumento di massa, ma soprattutto le mancava un linguaggio proprio. "Prendeva a prestito stralci di linguaggio dal teatro, dai libri, dai giornali, e come il teatro, e i libri era uno strumento per pochi". Per cambiare una situazione così stagnante era necessario sovvertire il linguaggio televisivo comune, che fino a quel momento si era basato sul modello della tradizione letteraria post conflitto. Affondando le radici nella letteratura epica degli anni Trenta, che si nutriva di vacue parole disgiunte dalla realtà storica del momento, i primi anni cinquanta, in Italia, sono stati caratterizzati da due filoni letterari: la retorica politica, che si proponeva di salvare il mondo, e la riflessione intimistica, che scandagliava i pettegolezzi dell'animo. "Due forme di letteratura detestabili che miravano a "salvare il popolo". Noi, e con noi intendo tutti coloro che hanno fatto parte del Gruppo 63, volevamo, invece, che la letteratura salvasse se stessa".
Per uscire da quel clima di ricatto che incatenava la spinta innovativa di molti, Guglielmi e il Gruppo 63 si rivolsero all'estero, a quei capolavori di pensiero come Il processo di Kafka e L'Ulisse di Joyce che avevano rivoluzionato il comune modo di pensare. "Questa è stata la prima rottura. Ispirandoci alla lingua poetica, che prima di comunicare, esprime, dicendo in sostanza il contrario di quello che dice - pensate a Leopardi, considerato il poeta del dolore per eccellenza, le sue poesie sono in realtà inni alla vita, alla felicità e all'amore - noi abbiamo voluto allontanare le parole dal loro significato manifesto".
Un rivoluzionamento del linguaggio comune, che tendeva a porre il senso delle parole al di fuori delle parole stesse, obbligando il lettore a non concentrarsi sulla comprensione del testo, ma a lasciarsi trascinare dalle emozioni che il testo dava.
È questo il taglio che Gugliemi ha voluto dare alla sua Rai Tre quando nel '84 ne è stato posto alla direzione. Una televisione critica, fatta da persone che sapevano fare TV. "Volevo fare qualcosa di diverso rispetto alle altre emittenti, niente fiction né varietà, solo informazione. Allora, però, fare informazione significava occuparsi esclusivamente di politica estera. Sapevamo tutto del Vietnam e nulla di casa nostra. Abbiamo deciso di infrangere questo tabù e abbiamo aperto porte e finestre sull'Italia. L'ultimo problema da risolvere era quello di trovare un linguaggio adeguato, volevo allontanarmi dal format delle inchieste".
La soluzione gli viene dalle parole di Pasolini: Sono stanco di raccontare la realtà con le parole, da ora in poi voglio raccontare la realtà con la realtà. Nasce la Tv - verità. Nascono Chi l'ha visto, Un giorno in Pretura, Telefono Giallo, Linea Rovente. Trasmissioni a metà fra spettacolo e informazione. "Documentari visivi fatti dalle persone comuni". Nascono i prodromi degli attuali talk show che, nel cammino, hanno perso di vista l'obiettivo informativo e sono scaduti nella morbosità di "guardare nel buco della serratura del cesso".
"Qualcuno mi fece notare che non era una televisione culturale. Certo che non lo era, e neppure voleva esserlo, era una televisione colta. Non mettevamo in scena Pirandello, mettevamo in scena la vita di tutti i giorni con un linguaggio di tutti i giorni. Offrivamo agli spettatori uno spaccato di verità che nessun documentario fino a quel momento era stato in grado di fornirgli".
Dopo tanto parlare di televisione passata. Una domanda sorge spontanea, cosa dobbiamo aspettarci dalla Tv del domani? "Il futuro è in mano alle emittenti locali che con la globalizzazione acquisteranno sempre più valore. Bombardato dalla globalizzazione lo spettatore ritroverà nelle tv locali la propria identità culturale. L'unico pericolo è che queste emittenti vengano schiacciate dall'attuale monopolio informativo così come è accaduto per La7, boicottata il giorno prima della nascita. Le premesse sono buone, e fanno sperare in un avvenire dove la multi - informazione sarà una realtà, basta guardare a Telelombardia che, superando i giganti dell'informazione, si è recentemente aggiudicata la visione in chiaro di una partita dell'Inter".