Giovedì 14 Novembre 2002 - La Voce Nuova di Piacenza
Quale sarà il destino del dialetto in letteratura?
Quale sarà il destino del dialetto in letteratura e quali sono le reali possibilità di sopravvivenza dell'idioma dialettale? Perché anche a livello nazionale manca una letteratura narrativa in dialetto, non solo a Piacenza? Forse per l'esigenza di comunicare con tutti, con un pubblico di lettori il più vasto possibile, cosa che lo strumento - dialetto non permetterebbe di fare? Continua il dibattito - proposto da un gruppo di insegnanti con il ciclo di incontri "Piacenza e altri "luoghi" nel Secondo Novecento" e sposato da "La Voce" - che pone sotto esame la produzione letteraria del secondo Novecento, a Piacenza. Un'indagine condotta con la consueta profondità, con quella chiarezza scevra da sovrastrutture linguistiche e con sensibilità dal professor Stefano Fugazza, curatore della sezione di Letteratura del Novecento nella monumentale collana della Storia di Piacenza.
Come palcoscenico la nuova sede della Famiglia Piasinteina a Palazzo Fogliani, questa volta Stefano Fugazza si interroga su questa interessante problematica, con la collaborazione dello scrittore Enio Concarotti protagonista di questa stagione narrativa. Stefano Fugazza sottolinea la qualificante presenza in passato di autori come Ferdinando Cogni, con "I nos cavai", e con alcune opere di Enrico Sperzagni, mentre ora la produzione sembra svolgersi ancora con risultati vernacoli, piacevoli senza però raggiungere livelli propriamente letterari, con un esito che sembra destinato a non riprendere spazio in ambiente colto.
"Il dialetto va incontro ad un destino ineluttabile, anche se a livello locale è giusto avvallare questo filone".
Concarotti, chiamato in causa da Fugazza sul rapporto letteratura - dialetto, anche nell'ambito della sua produzione che risente di atmosfere popolaresche e dialettali, si dice abbastanza disincantato, lui che fa parte della commissione del Premio nazionale "Faustini" ha potuto seguire in un lasso di tempo piuttosto ampio la produzione dialettale piacentina che, nell'arco di pochi anni si è ridotta ai minimi termini, osservando anche che il livello qualitativo negli anni passati era più alto.
Quindi ci troviamo in una fase di stallo. Inoltre il dialetto piacentino è molto frazionato in localismi di vallata, il vero idioma piacentino non esiste quasi più. "E' opportuno anche sottolineare - dice Concarotti - che il nostro dialetto è molto difficile da leggere e da scrivere, io ho provato a cimentarmi, ma ho sempre trovato grande difficoltà".
A livello letterario continua a trovare riscontro la rappresentazione del testo teatrale, cioè la commedia, che è seguita con attenzione, cosa che non avviene nei riguardi della poesia e della narrativa, forse per la necessità di un maggior grado di preparazione culturale per avvicinarsi ad esse.
Emilio Gadda e Andrea Camilleri, nella narrativa italiana, sono esempi di inserimento di frasi e modi di dire dialettali in un tessuto linguistico italiano, in alcuni casi quasi contaminazioni. Un'altra sperimentazione, a livello locale, è stata quella di Cogni di tradurre componimenti di Catullo dal latino in dialetto, oppure quella di un prete, De Giovanni, che ha tradotto un canto della Divina Commedia.
"Per quanto mi riguarda sento la nostalgia della vita dialettale, infatti io parlo spesso di quando eravamo ragazzi noi. Io sono nato in "Strà alvà", un mondo che non c'è più, nella mia memoria non posso non ricostruire i ricordi che sono per me come compagni. A volte dovevo anche subire una sorta di ironia socio - proletaria quando mi chiamavano "al studeint", una situazione bellissima da "Ragazzi di Via Pal". Quindi il piacentino lo sento nell'atmosfera, nel modo di vivere, io però scrivo in italiano".
Il professor Fugazza recupera il problema della "fuga" degli intellettuali piacentini dalla città natale, alimenta la discussione reintroducendo il filone del rapporto tra giornalismo e letteratura a Piacenza, nel secondo Novecento, da cui sono usciti i nomi di Cavallari, Grazia Cherchi, Bellocchio. E' opportuno mantenere una netta distinzione tra giornalismo e letteratura anche se, per Enio Concarotti, è importante comunque adattarsi alle situazioni che devono essere descritte o narrate in quel momento ai lettori. Esempio di questo comportamento - sottolinea Fugazza - sono i libri pubblicati negli anni '60, in particolare nel '63, contenenti le interviste che lo stesso Alberto Cavallari fece ad alcuni importanti scienziati occidentali, alcuni vincitori del premio Nobel, su tematiche spinose quali il rapporto tra Europa e Russia, l'emigrazione degli scienziati verso quei Paesi che permettono la ricerca, qui il giornalista non era più tale ma finiva per essere saggista. Lo stile di Cavallari è stile asciutto che però dà vita a momenti lirici, quasi di abbandono, riesce a rendere piacevoli argomenti anche aridi e difficili.
Un giornalismo di questo tipo è molto interessante e lo incontriamo anche in Del Boca, legato alla nostra città pur non essendo piacentino.
In altre figure di intellettuali come Grazia Cherchi, Piergiorgio Bellocchio si crea un dialogo ininterrotto non tanto con le cose, quanto con i libri, la cultura, gli intellettuali alla ricerca di una letteratura di qualità.
"Quaderni piacentini" hanno contenuti sociali e politici che non li rendono un fatto giornalistico ma li inseriscono nell'ambito della saggistica sociale, secondo Ennio Concarotti, inoltre dal '68, con la alte tirature fatte e l'interesse a livello nazionale, di piacentino rimaneva solo il nome.
L'approfondimento critico dello studioso non si ferma qui. "Sarebbe interessante anche considerare non solo quello che a Piacenza si produce, ma anche quello che a Piacenza si legge, il consumo di letteratura."
E un'iniziativa in tal senso viene proprio dal nostro quotidiano "La Voce Nuova di Piacenza" con l'appuntamento quindicinale del giovedì con commenti e classifiche delle letture preferite dai piacentini.
Altro aspetto da indagare: il legame tra letteratura e artisti o meglio artisti produttori di letteratura, allora Stefano Fugazza cita alcuni nomi tra cui quello dello scultore piacentino Vittoriano Ferraro, da nessuno ricordato, che negli anni ‘80 a Milano ha pubblicato "Io" ricordi in versi della sua prigionia in India, durante la guerra. E ancora Graziella Bertante con "Luna e ciclamino" che contiene stati d'animo, sensazioni, spunti di critica sociale, o Giancarlo Braghieri con il volumetto "Poesie - Ai fiordi dell'esistenza" corredato da suoi disegni, con una scrittura immaginifica ricca di metafore (e che sulle nostre pagine culturali firma un inconsueto "Zibaldone").
L'incontro si conclude con una nota positiva comunicata da Enio Concarotti: i giovani scrivono di più e meglio di qualche tempo fa, molti testi vengono pubblicati da piccole case editrici che privilegiano la qualità, quindi potremmo avere presto alcune sorprese.
Il 18 novembre, data del prossimo appuntamento del ciclo "Piacenza e altri luoghi nel secondo Novecento" nella Cappella ducale di Palazzo Farnese verrà trattato un altro tema importante e sentito per la nostra città: Quadro generale sulla museologia a Piacenza (a cura di Antonella Gigli, direttrice dei musei di Palazzo Farnese e Carlo Francou, direttore del museo geologico di Castell'Arquato). La rassegna, ricordiamo, nasce da un gruppo di insegnanti ed è promossa dalla scuola media "Dante e Carducci" con il conservatorio Nicolini e il Centro scolastico agrario, in collaborazione con la Fondazione di Piacenza e Vigevano e il sostegno di Comune e Banca di Piacenza, e il patrocinio della Provincia.