Mercoledì 13 Novembre 2002 - La Voce Nuova di Piacenza
"Piacenza città della lirica? Non è vero"
Affollato incontro alla "Famiglia Piasinteina" sul nostro secondo Novecento
"Macché città della lirica come vuole la tradizione, Piacenza è città che piuttosto ama lo spettacolo di varietà". A gettare questa provocazione è il giornalista Roberto Mori, intervenuto ieri sera nella nuova sede della Famiglia Piasinteina a Palazzo Fogliani, per la seconda serata del ciclo di incontri "Piacenza nella seconda metà del Novecento".
Mori ha affrontato vari argomenti della storia recente della nostra città, dal teatro alla storia dei circoli e delle associazioni, sino all'editoria locale. Significativo e provocatorio il suo intervento sul teatro nel quale ha affermato che "il pubblico piacentino, nel secolo scorso, era solito frequentare maggiormente la prosa più che l'opera lirica". E da lì è partito un amarcord della storia degli spettacoli che abbiamo ospitato, ricordando come i nostri concittadini non abbiano esitato a fischiare Pavarotti e nel 1953, "un certo Alberto Sordi che insieme a Wanda Osiris e al Quartetto Cetra mise in scena al Politeama "Gran Baraonda", firmato da Garinei e Giovannini, che in breve tempo sarebbero divenuti la coppia d'oro della commedia musicale italiana".
"Ma quelli - ha continuato Mori - erano gli anni in cui la televisione rubava spettatori al cinema e al teatro. Era, per intenderci, il periodo di "Lascia o raddoppia" dell'inossidabile Mike. Per supplire al calo di spettatori i fratelli Bergonzi, proprietari del Municipale, e i fratelli Leonardi, proprietari degli altri cinema, giunsero all'idea di proiettare il celebre quiz televisivo nelle sale. Il fenomeno però durò poco". Mori ha poi ricordato la distinzione fondamentale tra il Politeama e il Teatro Municipale, affermando che il primo "diventò pian piano la casa degli spettacoli leggeri, del varietà del lunedì pomeriggio, vale a dire dell'avanspettacolo, dove una compagnia di attori affiancava un comico, una cantante e discinte ballerine".
In questo ritaglio della memoria della Piacenza che fu, il giornalista amaramente confida che "la Piacenza di allora era forse più colta e appassionata". L'intervento è proseguito con la storia delle associazioni piacentine, delle case editrici, degli scrittori piacentini, argomento quest'ultimo di cui ha dissertato il direttore della Galleria Ricci Oddi, Stefano Fugazza (e di cui parleremo approfonditamente domani).
Non solo spettacolo. Gli architetti Olga Chiesa e Giovanni Battista Menzani hanno raccontato la vicenda urbanistica della Piacenza del dopoguerra. Menzani ha celermente illustrato la storia della città dalle origini, dalla fondazione romana, alle fortificazioni cinquecentesche volute da Clemente VII, ai successivi interventi farnesiani, sino all'inizio del nostro secolo dove le costruzioni extraurbane ancora latitavano. Ma è essenzialmente nel secondo dopoguerra che comincia la crescita della città fuori le mura. Il piano regolatore di Novello del '49 non viene attuato in maniera razionale in quanto il boom è più veloce di qualsiasi possibile pianificazione. La città dunque si sviluppa anche dopo a "macchia d'olio". Olga Chiesa ha portato l'esempio positivo del quartiere Ina - Casa del bolognese Giuseppe Vaccaro, progetto unitario, ma non portato a conclusione dal suo ideatore. Le costruzioni di Vaccaro si sono limitate agli edifici dei negozi, alle sedi abitative e all'asilo, "esempio paradigmatico - ha detto l'architetto Chiesa - di quella che è la continuità dell'architettura classica sino ai nostri giorni".
Filippo Lezoli