Martedì 12 Novembre 2002 - La Voce Nuova di Piacenza
Non esistono malati "incurabili"
Non esistono malati "incurabili". Esistono, purtroppo, malati "inguaribili": tuttavia ciò non significa che non si possa fare più nulla per loro, soprattutto quando in fase terminale sono i bambini. Questo, il concetto emerso con forza ieri all'Auditorium della Fondazione di Piacenza e Vigevano in occasione della "III Giornata Nazionale contro il dolore e la sofferenza della persona inguaribile" organizzata dall'Art (Associazione Paulo Parra per la Ricerca sulla Terminalità). Davanti ad un folto pubblico, costituito per lo più da allievi del Cassinari e del Colombini, i relatori intervenuti alla tavola rotonda su "La famiglia e il malato terminale: tra condivisione e competenza" sono stati e numerosi: da Giacomo Biasucci (primario di Pediatria e neonatologia) a Luigi Cavanna (primario di Medicina oncologica ed ematologia); da Renzo Ruggerini (già primario di Anestesia e rianimazione e medico palliativista) a Paolo Cornaglia Ferraris (specializzato in Oncologia pediatrica e operativa all'Istituto Gaslini di Genova); e poi infermiere specializzate, comicoterapeute, assistenti sociali. "Il 90 per cento dei deceduti a causa di neoplasie maligne - ha sottolineato Cavanna - passa attraverso una fase terminale di circa tre mesi, fase in cui il trattamento farmacologico mirato alla guarigione del paziente diventa inutile, ma momento in cui le terapie palliative contro il dolore diventano importantissime. Il primo obiettivo dell'oncologia è ovviamente cercare di guarire il malato, passando attraverso interventi di chirurgia, chemioterapia, radio terapia, immunoterapia; ma quando ci si rende conto che il malato è inguaribile, non lo si deve abbandonare a se stesso in attesa della fine. Il malato terminale si può ancora aiutare, accompagnare. Possiamo far sì che arrivi in fondo alla sua strada conservando intatta la sua dignità, senza essere schiacciato dalla brutalità della malattia. Purtroppo, ancora oggi, le resistenze di alcuni medici alle terapie palliative sono forti e le cause molteplici: da un'inadeguata conoscenza della terapia antalgica, alla paura che certi antidolorifici procurino assuefazione nel paziente e soprattutto a causa delle difficoltà di prescrizione di alcuni farmaci, come la morfina. Teniamolo presente: il trattamento del dolore dev'essere una priorità assoluta: soffrire inutilmente è dannoso e sbagliato".
Ci pensa Ruggerini a "sdoganare" definitivamente la morfina: "Molti testi di farmacologia sostengono che gli oppioidi come la morfina sono stupefacenti (quindi alterano lo stato di coscienza), danno tossicodipendenza e tolleranza, provocano depressione respiratoria. Invece la morfina è il farmaco base per il trattamento del dolore: un uso di tale sostanza sotto diretto controllo medico, al massimo provoca stitichezza e rari casi di confusione mentale, ma solo durante i primi giorni della terapia". Antonella Cipriani e Ilaria Ghini hanno portato invece la loro testimonianza di infermiere professionali presso il Servizio di terapia del dolore e cure palliative pediatriche a Firenze: "Quando a soffrire è un bambino, la terapia del dolore diventa fondamentale. E' necessario che il bambino si senta amato, coccolato; è necessario che qualcuno gli stia sempre vicino. Deve poter giocare, disegnare, comunicare e creare un legame empatico con il medico e con chi lo assiste. Oltre alle terapie farmacologiche spesso proponiamo, ai più grandicelli, tecniche di rilassamento: ipnoanalgesia, respirazione, visualizzazione e desensibilizzazione".
Il più toccante, forse perché accompagnato da immagini, l'intervento di Paolo Cornaglia Ferraris: "I bambini affetti da cancro ricevono un trattamento aggressivo e soffrono molto durante l'ultimo mese di vita. Se, invece che in terapia intensiva, quest'ultimo mese lo vivono nella loro casa debitamente assistiti da infermieri e assistenti sociali, riescono a vivere come facevano prima e soffrono, anche fisicamente, in modo molto meno rilevante".
Laura Bricchi