Martedì 28 Gennaio 2003 - Libertà
"Montanelli, un principe del giornalismo"
Intervista a Marcello Staglieno che stasera presenta il suo libro sul "grande Indro"
Questa sera alle all'auditorium della Fondazione di Piacenza e Vigevano, in via Santa Eufemia 12, l'on. Marcello Staglieno presenterà al pubblico piacentino il suo libro "Montanelli. Novant'anni controcorrente" (Mondadori). L'incontro, organizzato dal Rotary Club Piacenza Farnese, sarà introdotto dal presidente Manfredo Ferrerio. Giornalista e scrittore, vicepresidente del Senato della Repubblica dal 1994 al 1996, Marcello Staglieno ha pubblicato il suo primo libro, la biografia di Nino Bixio, nel 1973, nella collana "Gli Italiani" di Rizzoli, diretta da Indro Montanelli. L'anno dopo è stato con Montanelli tra i fondatori del "Giornale", ed è rimasto nella testata da lui diretta sino al 1992, come responsabile culturale e inviato. Il libro, frutto di trent'anni di amicizia e frequentazione con il più noto dei giornalisti italiani, ripercorre in un'accurata biografia i 64 anni di professione giornalistica di quell'"eretico della destra italiana", di quell'"elegante divulgatore di storia", di quel "principe del giornalismo", ma soprattutto di quel "grande uomo" che fu Indro Montanelli. In attesa dell'incontro di stasera, abbiamo rivolto all'on. Staglieno alcune domande. Nell'introduzione al suo libro lei ricorda Montanelli con le parole che lui stesso aveva scritto in morte di Longanesi: "Era un grande Maestro". A lei cosa ha insegnato? "Ad essere il più possibile indipendente. Perché Montanelli non lascia eredi in scrittura, il suo taglio di scrittura è inimitabile, quindi non lascia epigoni, però lascia degli amici e, soprattutto, un esempio di uomo indipendente. Indro è stato indipendente fino all'ultimo giorno della sua vita. Si può dire di lui qualsiasi cosa, ma non che abbia mai prestato la sua penna a qualcuno". Che cosa significava per lui essere un buon giornalista? "Significava soprattutto tendere all'oggettività, che non esiste. E' come un concetto matematico di limite. L'oggettività non c'è, però bisogna tendere ad essere il più possibile chiari e oggettivi sulle cose che si riferiscono". Nel libro lei parla della "contraddittoria coerenza" di Montanelli. Che cosa significa? "Significa che Indro da una parte era animato da un "pessimismo della ragione" alla Prezzolini e dall'altra da un "ottimismo della volontà" alla Gobetti. Montanelli cercava di combinare insieme queste due componenti del suo carattere, e ci riusciva. Era davvero un grande tipo". La forza di carattere, la durezza quasi, di Montanelli, che si leggeva nei suoi scritti giornalistici, c'era anche nei suoi rapporti di lavoro con voi amici e collaboratori? "Lui con noi era estremamente amico, nel senso che dal sommo, dal trono di "principe" del giornalismo, ci trattava come colleghi ed era estremamente affettuoso. Il Giornale è nato così". Quindi era compenetrato in questa sua carica di "principe" del giornalismo? "Lo era e non lo era. Era un uomo abituato al lavoro, aveva la religione del lavoro. E poi aveva questa grazia nello scrivere, che è una cifra che nessuno ha mai avuto. Se non forse Ansaldo, di cui Montanelli riconosceva la superiorità". Lei ha conosciuto molto bene Montanelli. In questa sua biografia ci sono anche aspetti personali e privati di questo personaggio? "No, gli aspetti personali sono minimi: il fatto statistico che si è sposato due volte e che ha avuto un figlio. Tutto il resto erano faccende sue". Testimone, protagonista, voce critica, se dovesse scegliere un ruolo per Montanelli nella storia d'Italia del Novecento, quale sceglierebbe? "Fu un appassionato testimone, ma più ancora fu un grande protagonista".
Caterina Caravaggi