Sabato 25 Gennaio 2003 - La Voce Nuova di Piacenza
"MAI davvero felice e MAI del tutto infelice"
"Mai davvero felice, e mai del tutto infelice". Parole di un poeta capace di raccontare il tempo e la storia come appare agli occhi di tutti. Parole di Giovanni Raboni, poeta, editorialista, critico teatrale, pubblicista (ha scritto fra l'altro su Quaderni Piacentini), protagonista ieri sera, alla Fondazione di Piacenza e Vigevano, del terzo incontro del ciclo Testimoni del Tempo, durante il quale ha riflettuto con i presenti su "Questo presente", titolo tratto da un vecchio verso "Non di questo presente dobbiamo vivere, ma in esso sì". Nato a Milano nel 1932, Giovanni Raboni, settantuno anni appena compiuti il 22 gennaio, ha attraversato e raccontato con la sua poesia colta, fatta di evocazioni spettrali e linguaggi informali, tutta la seconda metà del Novecento, rappresentando uno degli assi attorno ai quali si è addensato il discorso poetico della letteratura italiana del post conflitto.
A presentare il poeta, Piergiorgio Bellocchio, amico di vecchia data, da quando vent'anni fa pubblicò, sulle pagine dei Quaderni Piacentini, la sua prima e unica recensione poetica sull'opera di Raboni, ancora oggi ricordata come la migliore interpretazione della lirica raboniana. Un compito complicato, vista la particolare struttura poetica della produzione di Raboni, tutta giocata sulle antitesi, che il critico ha risolto leggendo alcuni sonetti, sottolineando come, all'interno della rigida struttura di endecasillabi tipica del sonetto, il poeta sia riuscito a imprigionare tutta la libertà propria della poesia lombarda. "Raboni - ha evidenziato Bellocchio - nei quattordici versi dei suoi sonetti, coglie l'anima della realtà. La sua poesia affonda le radici nel profondo dell'animo del poeta, e di chi lo ascolta".
Leggendo le poesie contenute nel suo ultimo libro "Bagliori di Milano" - dove ancora una volta il poeta, ritornando su temi gia affrontati, ha intrappolato l'anima della società contemporanea, dalla malinconia di una Milano in cui non si riconosce più, al dramma della guerra in Medioriente - Raboni ha colloquiato con i presenti, cogliendo l'occasione per precisare quelli che lui considera i suoi punti di partenza letterari, dalla definizione di poeta civile, ai suoi rapporti con la letteratura di Proust ("Un grande pensatore").
La definizione di poeta civile lo fa sorridere imbarazzato. "Sono stato etichettato come poeta civile, ma non mi riconosco completamente in questa definizione. Mi considero un poeta che esprime il suo punto di vista sulla realtà, che si interroga sulla storia contemporanea, che apre la sua mente, ma da qui a definirmi un poeta civile... Certo non rifiuto l'appellativo, ma non mi sento di sostenerla. E poi, se vogliamo essere pedanti, tutta la poesia è poesia civile".
Poeta quindi, nel senso più ampio del termine, che risente della tradizione lombarda, soprattutto quella che "comincia con l'Illuminismo e che prosegue con Manzoni, Gadda, Rebola. Mi riconosco in quei tratti di impegno etico e di realismo, che in espressioni diverse - il realismo di Gadda è profondamente diverso da quello di Rebola - rappresenta una costante nella linea letteraria lombarda. Non ho mai scritto in dialetto, che però considero la lingua della realtà per eccellenza, perché sono figlio di quella generazione borghese che aveva smesso di parlarlo. I miei genitori, che fra loro parlavano in dialetto, a me si rivolgevano in italiano. In sostanza non scrivo in dialetto, non per una scelta linguistica, ma perché non ne sarei in grado".
Poeta, anche quando si tratta di tradurre. Di lui sono note le traduzioni di Baudelaire, Apollinare e di Proust. "La traduzione è l'unica vera scuola di scrittura che esiste. Non credo nelle cosiddette scuole che promettono di sviluppare o addirittura di inventare uno stile personale, al massimo possono insegnare la sintassi, ma lo stile è un concetto troppo personale. La traduzione, al contrario, è una grande scuola perché obbliga a mantenersi fedele allo spartito che si ha di fronte, esenta dall'ispirazione costringendo ad immergersi completamente nella poesia di qualcun'altro. Quando un giovane poeta mi chiede come fare per migliorarsi, consiglio sempre di leggere e di tradurre, tradurre poeti che ammira, ma anche di poeti che non conosce, la distanza di stile può essere illuminante".