Sabato 25 Gennaio 2003 - Libertà
Viaggio nella musica spagnola, colta e popolare
Giancarlo Dellacasa e Luisa Staboli a San Nicolò per la rassegna Cultur&Colori
E' almeno dall'Ottocento romantico (pensiamo solo a Bizet e a Hugo Wolf) che il folklore spagnolo popola la fantasia di un pubblico mondiale. Anche se l'immenso patrimonio culturale e la variegata geografia di questo Paese non si possono certo ridurre a questo, la parola "Spagna", nel resto del mondo, continua a parlare soprattutto di terra arsa e sole ardente, di architetture moresche e dei muri abbaglianti dell'Andalusia, di festa e di morte, di eros e sangue, di liturgie cattoliche dalla barocca teatralità e di un nocciolo pagano ben vivo sotto la buccia cristiana: la Spagna come patria delle passioni. E a questa idea non si sarebbe potuto immaginare un tributo migliore di "...Spagna", l'incantevole concerto tenuto l'altra sera dal chitarrista Giancarlo Dellacasa e dal soprano Luisa Staboli al centro culturale di San Nicolò per la rassegna Cultur&Colori (la rassegna organizzata dal Comune di Rottofreno e da Tetracordo, col sostegno della Fondazione e la collaborazione di Provincia, Arci e Libertà): un viaggio musicale scevro da stereotipi e sostenuto da una genuina consapevolezza storica. Il virtuoso Dellacasa ha offerto eloquente sfoggio della sua splendida musicalità e delle sue affinità elettive col repertorio iberico eseguendo in solitudine il flamenco Soleares, la classica Asturias di Albéniz (una resa magistrale) e l'ardua, struggente Recuerdos de la Alhambra. E la Staboli, accompagnata dalla chitarra sensitiva di Dellacasa, ha interpretato con bravura e grande gusto gemme di un repertorio "colto" ma intriso di echi popolari: i Tres Vilancicos di Rodrigo (la delusa passione femminile della sconsolata Adela e le incantevoli naïvetés natalizie di Pastorcito santo e Coplillas de Belén) e soprattutto la forza ancestrale delle magnifiche Seite canciones populares españolas di De Falla. Ma il momento forse più emozionante è arrivato all'inizio, con quattro delle canzoni raccolte, elaborate e armonizzate da un grande poeta con una particolare sensibilità per l'arte popolare come Federico Garcia Lorca: l'ipnotica filastrocca di Anda, jaleo, la rude maschilità della sfida fra toreri che si consuma dentro El café de Chinitas, le visioni dorate e trionfali di Sevillanas del siglo XVIII, il richiamo da sirena tentatrice della gitana dagli occhi azzurri di Zorongo. Nel finale, Staboli e Dellacasa si prendono qualche libertà rispetto al tema di partenza con la sorpresa di due intramontabili "classici della musica non classica" come Besame mucho (che in effetti è messicana) e Amapola, in versioni di sobria, magnetica intensità. Il bis è con un'altra perla attinta al romancero raccolto da Garcia Lorca: La Tarara, con la sensuale immagine della ragazza dal "vestido verde" che "mueve la cintura/ para los muchachos/ de la aceitunas" sorretta da una chitarra per la quale, ancora una volta, non è vano parlare di magia.
Oliviero Marchesi