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Venerdì 10 Gennaio 2003 - La Voce Nuova di Piacenza

MERINI "Il dolore non regala la poesia"

Verrà o non verrà? Era facile indovinare i pensieri delle persone - fra cui tantissimi giovani - che, ieri sera, gremivano l'Auditorium della Fondazione di Piacenza e Vigevano. Sul volto di ognuno, era chiaramente leggibile l'amletico dubbio. Verrà o non verrà? Una domanda più che legittima visto il clamoroso forfait dello scorso settembre, mezza Piacenza in piazza Duomo ad aspettare solo lei - il cui incontro avrebbe dovuto rappresentare il clou della manifestazione Carovane - momenti d'incertezza, conferme, smentite, poi tutti a casa a bocca asciutta, con l'unica consolazione di una poesia dedicata a Piacenza appositamente composta per farsi perdonare. Verrà o non verrà? D'altronde da lei, corteggiata dalle più importanti manifestazioni culturali nazionali, ci si può aspettare di tutto, anche che all'ultimo momento dica: "No grazie" e se ne rimanga nel suo appartamento sui Navigli a suonare il pianoforte, fumarsi una sigaretta e, perché no, comporre poesie.
Verrà o non verrà? L'incertezza serpeggiava fra tutti, anche tra gli organizzatori che fino a mezz'ora prima dell'inizio dell'incontro non sapevano se si sarebbe presentata. Verrà o non verrà? E poi eccola. Alda Merini. Il passo incerto tradiva i suoi 72 anni, ma gli orecchini rossi, il vezzo di toccarsi i capelli e di ripassarsi il rossetto - "Anche l'occhio vuole la sua parte" - e soprattutto gli occhi vivaci, brillanti erano quelli di una bambina. Una bambina innamorata della vita, una bambina indisciplinata che né Eugenio Gazzola, né la professoressa Noemi Perrotta, docente di Letteratura appositamente chiamata per dialogare con la poetessa, sono riusciti ad imbrigliare negli schemi della serata. Alda - primo appuntamento del nuovo ciclo di incontri Testimoni del Tempo organizzato dal Comune con il patrocinio della Fondazione di Piacenza e Vigevano - fumando una sigaretta dopo l'altra, ha messo in riga tutti, schivando le domande cui non voleva rispondere, e le poesie che non voleva recitare. Ironica e profonda, Alda ha parlato di quello che le passava per la mente, non del manicomio - "Dobbiamo per forza parlare del manicomio, non ci sono altri argomenti, che ne so, l'avvenire per esempio. Il manicomio è l'unico posto in cui non mi hanno mai chiesto amore. Era un luogo sacro, dove regnava l'innocenza, dove non ho mai ricevuto una parola d'odio. Infatti la chiamo la mia Terra Santa. Il manicomio però è un luogo dove le persone muoiono, dove gli psichiatri giocano con le menti dei pazienti, le manovrano, le distruggono. Non è necessario andare in Oriente per trovare l'inciviltà, basta fare un giro in quei cosiddetti luoghi di "cura". Io mi sono salvata perché fuori c'era mio marito, e il suo amore, ma tutte quelle persone che non avevano nessuno sono morte lì dentro. Amo i malati perché hanno una moralità, non castigata dall'elettrochoc come si pensa, ma perché sono così naturalmente". -, non di come nasce la poesia - "A volte mi fanno domande assurde, mi è stato chiesto quale è la molla della poesia, oppure da dove esce la sua poesia, o ancora cosa dice la sua poesia. E io che ne so, non capisco tutto quello che scrivo. Pensate che recentemente è stata scritta una tesi su una mia raccolta di poesie, e io finalmente ho capito quello che avevo scritto più di quarant'anni fa". -, non della poesia figlia del dolore - "Il dolore non regala la poesia, il dolore non fa scrivere, fa urlare, e impazzire, ma non scrivere. Non mi dite che il manicomio mi ha fatto scrivere".
"Posso farmi una fumatina?". Con la sigaretta in mano, ha recitato le poesie, solo poesie d'amore ("L'amore può dare grandi frutti se lasciato crescere con tranquillità"), intervallandole ai suoi pensieri, dalla solitudine dell'abbandono - cui è dedicata la prossima raccolta di poesie "La Clinica dell'Abbandono" la cui uscita è prevista per febbraio -, al ricordo di Gaber e di Anna, un'amica poetessa uccisa dal marito geloso della sua indipendenza mentale. "E' incredibile come nel 2000 una donna ancora non sia libera di parlare". "L'abbandono è uno stato mentale, uno stato emotivo devastante che porta alla demenza, alla sofferenza fisica e mentale. Giorgio, come me, era un emarginato nella sua stessa città. Milano è una città che disorienta, una città che lavora e non si guarda. Giorgio diceva che la nostra generazione aveva perso, è vero. Oggi i ragazzi sanno tutto della vita, oggi muoiono per motivi per cui noi ne sapevamo niente. Ai miei tempi era diverso, c'era la guerra, la guerra per la libertà, per l'amore, eppure la mia giovinezza è stata magnifica. Non avevamo niente, quando trovavamo un po' d'acqua era una festa. Vivevamo di libri. Eravamo povera gente, ma la cultura ci faceva andare avanti, le parole ci facevano andare avanti. Un libro diventava un vangelo, una conquista per la vita. Devo ammettere che in vita mia ho amato i libri più degli uomini, ho amato i libri come i miei figli". Una donna, Alda, che ha vissuto intensamente la sua vita in tutti i suoi aspetti, quelli drammatici e quelli di passione, quelli di dolore e quelli d'amore, e che ha riassunto la sua vita dicendo: "Dalla vita ho avuto tutto, più di quello che mi aspettavo, anche l'odio".

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