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Giovedì 9 Gennaio 2003 - Libertà

Voci storiche, un tributo ai piacentini Poggi e Labò

Serata in Fondazione con gli Amici della Lirica. Gli anni di Maria Callas e Mario Del Monaco

C'è stato spazio anche per un tributo alle belle voci di Gianni Poggi e Flaviano Labò (i due tenori che costituiscono il bifronte "genius loci" della lirica piacentina del dopoguerra) nella terza conferenza del ciclo "Le voci storiche del Novecento", svoltasi l'altra sera nell'Auditorium della Fondazione di Piacenza e Vigevano. Oggetto di questo penultimo appuntamento con la serie di incontri organizzata dagli Amici della Lirica con relatori di alto prestigio come i critici Giorgio Gualerzi e Giancarlo Landini è stato il periodo tra la fine della Seconda Guerra Mondiale e gli anni '70. E' l'età in cui, come sottolinea Gualerzi, prende avvio un'epocale (e non ancora conclusa) trasformazione della fruizione dell'opera lirica: l'attenzione del grande pubblico si sposta dagli aspetti puramente vocali dell'interpretazione lirica a quelli più globalmente "spettacolari" e mediatici. Un fenomeno certamente non solo vocale (anzi, soprattutto "non vocale") è la stessa artista-simbolo di quest'epoca: la grande Maria Callas, un soprano che, senza aver esercitato ai suoi tempi una reale influenza sul gusto del pubblico lirico della maggior parte d'Italia, è ancor oggi una poche icone internazionali dell'opera per il pubblico di massa, grazie al suo "appeal" non meno che alla sua arte. Landini identifica il segreto della grandezza di questa cantante dalla voce in sé non bella (eloquente il confronto con la spettacolare cavata e il timbro dolcissimo della rivale Renata Tebaldi) nella combinazione di una perfetta competenza musicale, di una potenza vocale rara nei soprani d'agilità e di un'intensità drammatica in cui traspare una sorta di eredità "veristica". La registrazione callasiana di Qui la voce sua soave nel '49 e la sua spiritata Sempre libera (come, per altri versi, l'Adriana Lecouvreur di Magda Olivero) provano una verità che Landini giustamente sottolinea: in molte opere sono latenti elementi artistici che sfuggono agli studiosi accademici ma che un interprete di genio può portare alla luce. Nella carrellata di ascolti il sommo soprano verdiano Leontyne Price sfila accanto a grandi tenori: Mario Del Monaco (difeso con passione dai relatori, al pari del baritono Ettore Bastianini, dai critici che liquidano come rozzi urlatori questi e altri grandi artisti dell'epoca), Franco Corelli (massimo erede negli ultimi decenni, grazie a una sensazionale opera di "autocostruzione", del tenorismo eroico del Romanticismo), Richard Tucker, Carlo Bergonzi (che un polemico Landini, pur riconoscendogli grande gusto e scrupolo d'interprete, ridimensiona: "Non aveva lo squillo dell'autentica voce tenorile") e lo struggente Ivan Kozlovskij. Ma la grande sorpresa, per molti, è un giovane Alfredo Di Stefano immortalato in Manon nel '47: voce splendida e canto naturalissimo ma ancora impeccabilmente "sorvegliato", lontano dai malvezzi che di lì a pochi anni (mesi?) avrebbero preso il sopravvento. Un'importante panoramica spetta infine alla rinascita del Belcanto. A onta delle sue varie pecche, viene evocata Leyla Gencer per aver riportato in auge grandi titoli "dimenticati" di Donizetti; riascoltiamo poi l'arcana, incomparabile finezza lirica di Montserrat Caballé e i mostruosi sfoggi di bravura di di Joan Sutherland e Marilyn Horne. Il congedo, sulle note di Amami, Alfredo, è affidato a una delle maggiori, e più consapevoli, Violette del secolo scorso: Renata Scotto.

Oliviero Marchesi

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