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Mercoledì 19 Febbraio 2003 - La Voce Nuova di Piacenza

CANTANDO

Grandissimo successo e pubblico numerosissimo (persino in piedi e anche nella seconda sala) per la serata dell'11 febbraio (di cui la "Voce" ha già prontamente riferito) organizzata presso la Fondazione di Piacenza e Vigevano in collaborazione con l'Associazione Culturale Italo-Francese di Piacenza. La lettura di alcuni testi, sette dei quali inediti, di Aldo Anthony Gattoni accostati alle canzoni, e quindi ai testi, del grandissimo Jacques Brel poteva sembrare un azzardo rischioso. La serata avrebbe potuto sbilanciarsi tutta a favore delle canzoni dell'inarrivabile artista belga, ma così non è stato, anche se Brel ne è uscito in tutta la sua drammatica, splendida grandezza. Merito del successo la qualità dei protagonisti e la perfetta regia, il perfetto equilibrio fra la presentazione di testi e canzoni, la lettura dei versi e l'esecuzione canora. Conduceva il professor Fausto Frontini che con calma signorilità si è distinto e distanziato di mille leghe da quei presentatori urlanti, superficiali e ridanciani che troppo spesso affliggono le presentazioni canore. Non solo, ha condotto i presenti in un approfondito e commosso escursus sia dei testi di Gattoni che delle canzoni di Brel mettendone a confronto le diversità: Gattoni coglie l'aspetto trepidante e dolce dell'amore, a tratti persino adorante nei confronti della donna amata, mentre in Brel dominano la solitudine, l'ironia dura e graffiante. Se in Gattoni che ha componenti culturali multiple (mitteleuropee, anglosassoni, con esperienze nord e sudamericane) gli altri e le città sono stimoli e spunti di osservazione, per Brel gli altri sono occasioni di empatia persino dolorosa e le città sono fonte di ironia feroce o di descrizione partecipata emotivamente. In Brel c'è un'analisi spietata del sociale, atteggiamento questo che manca in Gattoni in quanto quest'ultimo vive in un suo stato sociale privilegiato.
Roberto Brivio (uno dei Gufi, attore e cabarettista) ha letto i testi di Gattoni - "I miei versi li ha sempre letti lui" - mi confida l'ex console. Gli splendidi arrangiamenti musicali e l'accompagnamento al pianoforte sono stati eseguiti dal grande maestro Roberto Negri che ha lavorato al mitico locale Derby di Milano e poi in teatro con Milly, Milva, Laura Betti, la Baker e Trenet e alla Scala con maestri del calibro di Abbado, Chailly, Pretre, Metha, Pesko, Kleiber e che ha accompagnato Giuseppe Di Stefano, Leyla Genger, Carlo Bergonzi, Luigi Alva. Ha fatto arrangiamenti per Celentano e composto le musiche per "Drive in". Martedì sera, il maestro Negri, ci ha riversato addosso un capolavoro di suoni morbidi e fluttuanti, delicati e capricciosi, ironici a sottolineare i concetti cruciali di Brel. Una fluidità sonora totale, avvolgente che ci ha fatto vivere veramente altrove, un altrove dove i sentimenti e la vita venivano osservati e detti da due punti di vista diversi e complementari. "Abbinando alle canzoni i miei testi ho voluto regalare a Brel, che amo tanto, qualcosa che lui avrebbe desiderato dalla vita e non ha mai potuto avere: un po' di serenità" mi confida Gattoni. Ed ecco che la serata che sembrava impostata in modo azzardato, invece temeraria non è stata anzi, è diventata l'omaggio intenso e commosso di un ammiratore sincero al suo idolo, un tappeto delicato su cui camminavano le note con gli applausi e la commozione di un pubblico davvero entusiasta. Chansonnier d'eccellenza Franco Visentin che non poteva interpretare meglio Brel. Si può dire che addirittura l'abbia rivissuto in sé con la grinta, i gesti, l'ironia, la disperazione che lo attraversavano (e da cui ci faceva attraversare) di brano in brano. La voce forte, limpida, maschia, potente è veramente una perla rara nei cantanti di musica leggera di oggi quasi tutti mal dotati di vocine deboli e incerte. Gli chiedo come mai questa quasi identità con Brel, perché non credo che la sua bravura sia dovuta soltanto al mestiere. "E' che sono nato in Veneto, in paesaggi di piatta nebbia come quelli di Brel e ne condivido la visione e l'approccio alla vita". Come se Brel avesse parlato anche in suo nome.
Gli manifesto il mio stupore per la sua voce così da uomo-uomo. Sorride e guardandomi negli occhi dice: "Sono le Malboro, tesoro, le Malboro". E anche questa mi pare un'analogia con Brel. Lo stare, nonostante l'arte, nonostante la poesia, terra terra dentro le cose più concrete. Con quanta perizia e quanto amore Frontini si è addentrato in ogni tema, in ogni situazione, in ogni parola! E lo ha fatto come si racconta una storia a bambini distratti. Piano piano ha portato il pubblico alla concentrazione assoluta fino a farci condividere le emozioni che venivano recitate o cantate. Grazie a Gattoni che ci ha regalato una serata di questa levatura offrendosi da pretesto per proporci un grande Brel. Un Brel che meriterebbe davvero di essere riproposto a tutti i piacentini in una importante serata al Municipale con lo stesso chansonnier e lo stesso maestro accompagnatore. Quante cose hanno infatti da dirci ancora le canzoni del poeta belga! Nonostante i nostri pur grandi cantautori penso infatti che Jacques Brel esprima qualcosa in più: una lettura più acuta e disperata non solo della solitudine (come giustamente ha detto Frontini), ma soprattutto della disperazione che viene dal sapere che tutto finisce e che, anche quando non hai mai avuto nulla, devi andartene lo stesso. Solo l'amore umano potrebbe salvarci dal terreno nulla, ma l'amore più è intenso e più fa soffrire. E poi c'è in Brel la precoce percezione della finitezza sempre intrecciata alla grandezza della visione poetica e del suo amore per l'uomo. Amore non sentimentale o ideologico, ma concreto, intensissimo, empatico, oserei dire cristiano (anche per un ateo) in quanto soffre della stessa sofferenza di chi soffre in Les vieux, Voi un ami pleurer per es.) Il che mi pare molto di più che un'opera buona. Brel pare prendere in sé tutta la sofferenza del mondo attraverso lo sguardo esatto di chi ha cuore e cervello costantemente collegati da un collante di energia ribelle e di vitalità intensissima. Personalmente trovo che nell'atteggiamento di Brel ci sia qualcosa che lo accomuna a Rimbaud e soprattutto a Céline. I testi di Gattoni con il loro amore contemplativo e il loro lirico linguaggio hanno provato a lenire le ferite del grande Jacques. Solidarietà fra sensibilità. Infatti il Console ha detto ricordando il suo soggiorno in Sudamerica: "A contatto con quei popoli si diventa più buoni" così come ha detto che "Oggi ci si rivolge troppo ad altre cose, bisogna invece portare più poesia tra la gente".
E questo ha fatto Aldo Anthony Gattoni con tanto rimpianto per quella che era la Milano di un tempo e che non c'è più. Come avevano detto anche i poeti Alda Merini e Giovanni Raboni.
Ma fino a che di quel mondo vitale e creativo che non c'è più perché sostituito da effimere banalità molto trendy, fino a che di quel mondo restano ancora testimoni della qualità dei protagonisti dell'altra sera, noi possiamo continuare a sperare grazie soprattutto alla poesia scritta, detta e cantata.

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