Giovedì 13 Febbraio 2003 - La Voce Nuova di Piacenza
La famiglia svelata nel Miller di Orsini
Andra' in scena al Municipale martedì 18, mercoledì 19 e giovedì 20 al Municipale, nell'ambito della stagione di prosa, "Erano tutti miei figli" di Arthur Miller (traduzione Masolino d'Amico), per la regia Cesare Lievi, con Umberto Orsini, Giulia Lazzarini e con Luca Lazzareschi, Ester Galazzi, Roberto Valerio, Rino Cassano, Elisabetta Piccolomini, Gian Paolo Valentini, Paola Di Meglio. Una produzione Emilia Romagna Teatro Fondazione–Centro Teatrale Bresciano Teatro Stabile di Brescia in collaborazione con Teatro Eliseo Stabile di Roma. Abbiamo raggiunto ieri Umberto Orsini per un'intervista. Umberto Orsini, negli anni '50, si rese conto di voler essere attore, abbandonando la carriera giuridica che aveva da poco intrapreso, dopo aver visto recitare, nella messa in scena di Luchino Visconti, Giorgio De Lullo proprio in una magistrale interpretazione di "Morte di un commesso viaggiatore" di Arthur Miller.
La scorsa primavera ha interpretato, riprendendo un tuo fortunato spettacolo del '92, il "Nipote di Wittgenstein" di Thomas Bernhard. Come ha affrontato la preparazione di questo difficile monologo? In una recente intervista lei affermava che, in effetti, non fa Bernhard ma è in qualche modo Bernhard.
"Non è tanto così. Conosco il linguaggio di Bernhard, specialmente dei romanzi ed essendo questo un monologo tratto da un romanzo, e non da una pièce teatrale, ho cercato di seguire la musicalità della lingua di Bernhard, anche se tradotta naturalmente, e che dà un ritmo, uno stile ad uno spettacolo che è molto bello e molto sapiente sui temi e le icone bernhardiane. Chi conosce bene Bernhard riesce ad avere delle letture precise di quest'autore".
Ora lei arriva a Piacenza con il suo amato Arthur Miller, di cui tutti ricordiamo "Morte di un commesso viaggiatore"; quest'anno è in tournée con la ripresa di "Erano tutti miei figli". Ci racconta il suo rapporto con questo testo?
"E' una commedia che ormai porto in giro da 170 recite. E' il secondo Miller che faccio dopo "Morte di un Commesso Viaggiatore". Ho scelto ancora di stare ancora con la Lazzarini perché la reputo una delle più brave attrici italiane. La più adatta ad interpretare questo ruolo. E' quello della moglie dell'industriale Joe Keller, che durante la guerra del ‘45 in America aveva fatto uscire pezzi di aerei difettosi. Ma, colpevolmente, aveva ugualmente fatto uscire questi pezzi di aerei e, quindi, aveva commesso un crimine, dal quale però era stato assolto, in qualche modo, perché la colpa era stata data a qualcun altro. Ma quest'uomo vive nella consapevolezza, o nella certezza, che tutto quello che ha fatto era assolutamente legato alle necessità della guerra. Durante la guerra certe emergenze possono anche far allontanare il senso della morale e naturalmente la commedia ha un suo grande passo verso i vertici. Cioè è una commedia che segue, ad ogni atto innanzi, il ritmo della tragedia della famiglia Keller. Alla fine il padre scopre la propria colpa che è stata, in qualche modo, metaforicamente riversata su un figlio scomparso in guerra, anche se non direttamente caduto con quell'aereo, ma, in qualche modo, legato alla vicenda e quindi il padre riconosce la propria colpa. E' una commedia sul dopoguerra".
In definitiva è un opera che fa riflettere sulle azioni e sulle le loro conseguenze?
"Sì, e naturalmente oggi, essendoci una guerra vicina, sembra essere una commedia molto più contemporanea. In realtà, è contemporanea in quanto come tutte le commedie classiche del Novecento tratta di problemi che riguardano trasversalmente la famiglia. Il rapporto tra padri e figli, il rapporto col denaro, il rapporto con la società. Insomma una commedia affondata nelle radici ibseniane e anche nelle radici della tragedia classica greca.
E' insomma la storia di una famiglia vista trasversalmente attraverso il pretesto della guerra".
Miller ha tematiche prossime a quelle cechoviane nel saper scandagliare il deserto interiore di questi personaggi. Nei suoi scritti ricordava con ammirazione Dostoevskij e di quanto la sua scrittura fosse debitrice a "I Fratelli Karamazov", come pure a "Casa di Bambola", dove si attua "l'esclusione" del meraviglioso per lasciare spazio al concetto materiale e psicologico. Cosa ne pensi?
"Sì, assolutamente, c'è in questo primo lavoro importante di Miller, il primo che ha avuto successo nell'immediato dopoguerra, c'è dentro una carica in lui, dei valori che lui trova necessari e primari nel Teatro.
Che sono quelli, appunto, che parlano del sociale, della società, e quindi cita Dostoevskij, Karamazov, I Demoni.
Insomma gli interessava questo tipo di Teatro che, oggi, anch'io trovo interessante e non lo ritengo per niente démodé o datato".
Ci parli della scelta registica di Lievi che ha trasformato la villetta del sogno americano, inizialmente pensata da Miller per la prima rappresentazione del '47, in una specie di hangar dai risvolti tristemente attuali.
"Sì, l'ambientazione non è realistica nella nostra commedia. E' un ambientazione allusiva, è un cumulo di aerei distrutti, come se fosse un dopoguerra, un cimitero di aerei. Sono coperti da un velo di tuta mimetica, e invece di essere il giardino tipico di una villetta americana, lo recitiamo, in qualche modo, in un luogo, che, anche metaforicamente, viene scoperto lentamente durante la commedia. Ma che non provoca nessun imbarazzo nel pubblico nell'identificare e nel seguire la storia realisticamente perché sopra questa scenografia la recitazione è molto realistica, quasi cinematografica.
Lentamente, lentamente poi, la recitazione diventa un pochettino più alta, un pochettino verso la tragedia quando la commedia si denuda e denuda in qualche modo il mistero che c'è sotto, che il pubblico ha già capito la colpa, e si vede la colpa in scena. In qualche modo è insomma una scelta, che può piacere o non piacere, ma che, secondo me, innalza la commedia e la tira via da quel tono da film o da aspetto televisivo di un America che noi, essendo italiani, dobbiamo in qualche modo non rifare".