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Mercoledì 9 Aprile 2003 - Libertà

Vassalli: "Raccontare storie è una necessità"

Testimoni del tempo - Intervista allo scrittore che domani sera sarà ospite alla Fondazione di Piacenza e Vigevano. Le vicende umane e la provocazione dell'elogio della guerra

Prossimo ospite di Testimoni del tempo, domani sera alla Fondazione di Piacenza e Vigevano, sarà Sebastiano Vassalli, considerato dalla critica come l'ultimo autentico narratore italiano. E non a caso il titolo da lui scelto per la serata è "Il mestiere di Omero: raccontare storie". Un mestiere che egli riesce a fare superbamente e riguardo al quale gli abbiamo rivolto qualche domanda.
Che cosa significa per lei raccontare? "Io penso che raccontare storie corrisponda a una necessità. La letteratura può anche essere inutile, come si teorizzava ai tempi del Gruppo 63, ma il racconto delle nostre storie, quello non è inutile. Se non ci fosse stato nessuno a raccontare e nessuno ad ascoltare, il mondo sarebbe diverso, si sarebbero perse le motivazioni di tantissime cose, tante imprese che si sono fatte non si sarebbero fatte... raccontare storie è uno dei nostri bisogni più importanti. Poi il passaggio successivo è quello di scrivere storie. Omero le storie le raccontava ma non le scriveva, mentre in questi tremila anni è apparso questo "corpo estraneo" che è la scrittura, per cui ci chiamano scrittori ma in realtà dovremmo essere dei "raccontatori di storie"". Come sceglie le sue storie? "Le dirò una cosa che può sembrare un'invenzione lirica, ma che invece è proprio una realtà: con il tempo i miei personaggi (perché poi le storie corrispondono a delle persone, sono vicende di quelle persone) sono diventati una folla che mi circonda quotidianamente. Sono loro che cercano me. Ne ho attorno più di quanti ne potrò mai raccontare. La mattina, quando arrivo nel mio studio, mi sembra quasi di essere un medico della mutua, o un dentista, che attraversa l'anticamera piena di pazienti. Ho perfino l'impressione di parlargli: "Ora finisco di raccontare questo, poi racconto te..."". Quindi il problema dell'ispirazione non ha dovuto mai affrontarlo... "Il problema di cercare le storie non esiste: il mondo ne è pieno. Non tutte meritano di essere raccontate, ma tutto è una storia. Di tutte le vicende umane, alla fine, rimane una storia". Nei suoi libri la storia è narrata tra verità e fantasia. In che rapporto sono tra loro questi due elementi? "Facendo questo mestiere ho verificato che la fantasia di un autore è limitata: la realtà gli regala sempre qualcosa di più, qualcosa a cui lui mai e poi mai avrebbe pensato. A me è successo per esempio raccontando la storia de "La Chimera", quando a un certo punto, quando già credevo di avere tutto, è saltata fuori la storia dei traffici di reliquie, intorno ai quali nella Roma della fine del '500 c'erano forti giri di denaro, traffici immondi, morti ammazzati... ecco, io questo non me lo sarei mai immaginato". Lei ha narrato il passato, dal XVII secolo alle battaglie sessantottine, e il futuro. Manca il presente. Perché, come lei stesso ha scritto, "nel presente non c'è niente che meriti d'essere raccontato"? "Il presente è pieno di storie, ma non c'è niente che meriti di essere raccontato adesso, perché noi adesso non possiamo concepirlo. Questo vale per qualunque presente, ma il nostro poi in particolare è così attrezzato per raccontarsi da solo, si racconta addirittura "in tempo reale", per dirlo con una bruttissima espressione, che abbiamo l'impressione di sapere tutto, mentre in realtà è vero il contrario: più cresce, più si dilata la comunicazione, più lo spazio del racconto diventa praticamente nullo. Non è che non ci sono storie, è che le si potranno raccontare domani". In "3012" c'è una sorta di elogio della guerra. Una visione catartica, o pura provocazione? "Ho voluto fare una provocazione e in questi giorni quel discorso cade proprio come il cacio sui maccheroni: abbiamo tutti davanti agli occhi le bandiere arcobaleno, i sentimenti belli e nobili del pacifismo, sui quali tutti siamo d'accordo, ma io ritengo che la guerra in realtà ce l'abbiamo dentro un po' tutti, compresi i pacifisti. Con "3012" ho voluto immaginare un mondo dove da 500 anni non si fanno più guerre e in cui però proprio per questo gli uomini sono a dir poco "fuori di testa" e recuperano parte della loro normalità recuperando la guerra. E' ovviamente un paradosso, una provocazione, per far capire che non è tutto così facile. E' facile marciare contro la guerra in Iraq, ma contro le guerre nel proprio condominio, o sul posto di lavoro"?

Caterina Caravaggi

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