Domenica 6 Aprile 2003 - Libertà
Magiche elegìe, un Bizet dai mille colori
MUNICIPALE. Felice debutto per "I pescatori di perle", regia di Maestrini nel segno della tradizione: oggi pomeriggio replica. Splende la "Toscanini" diretta da Giovaninetti, buona prova del cast
Si estinguono gli ultimi fuochi della lirica, la quinta tappa è raggiunta e in via di superamento, si prospetta in dirittura d'arrivo il doveroso omaggio all'arte compositiva del nostro Glauco Cataldo. Non è forse il caso di tracciare un consuntivo di quanto si è visto e ascoltato dallo scorso dicembre a oggi. Ma non ci si può esimere dal rilevare - secondo un'ottica puramente musicale e astraendo dalle singole contrastanti valutazioni, positive o negative, panegiriche o denigratorie, sulla qualità delle esecuzioni - la varietà e la giustezza delle scelte, pur in ambito necessariamente ristretto: un prezioso Rossini, un Verdi e un Puccini del più collaudato repertorio, un insolito Pergolesi di gran pregio, attinto dall'immensa e per lo più inesplorata miniera del nostro Settecento operistico. A paragone, che cosa ci riserverà il futuro? Era quasi d'obbligo, a questo punto, un tuffo nel repertorio francese, nel gran mare dell'esotismo in musica, cui nella seconda metà dell'Ottocento le conquiste coloniali indirizzarono il gusto europeo. Era tempo che tornassero Les pêcheurs de perles di Bizet, per i quali si potrebbe richiamare, magari in linea puramente indicativa, il corrispettivo letterario di un Pierre Loti. Ad evocare la suggestione, il clima, il fascino di terre lontane sono i sapienti e sapidi tocchi di colore, colore armonico, colore strumentale. È vero che i valori musicali vi prevalgono sui drammatici, come in una sorta di oratorio profano, permeato di mistica sacralità (brahmana, per la precisione), ove la preponderante presenza corale compensa la penuria di personaggi. Se l'azione, goffamente congegnata, mette talora a dura prova la credibilità, se la staticità prevale inesorabile sul dinamismo, se i personaggi vivono solo quando si librano nella irrealtà del sogno o di una sfumata memoria, l'inesprimibile lirismo del melos, improntato di carezzevoli toni d'elegia, tutto vince e a tutto supplisce con il suo voluttuoso profumo di Francia, con il suo irresistibile charme: quello charme e quel profumo di Francia che - coniugati alla spagnola - attingeranno l'acme del sublime in Carmen. E' gran ventura che a restituirci questo capolavoro della lirica sia Reynald Giovaninetti, la cui elettiva congenialità al repertorio specifico - ma con abbondanti eccezioni - resta indiscutibile. Mirabilmente si conferma la sua cura capillare nel dosaggio delle sonorità, nella finezza degli accompagnamenti, nel considerare in toto, in visione complessiva l'opera d'arte. Oltretutto capace di realizzare le più sottili graduazioni dinamiche, dal "pianissimo" al "fortissimo". L'esito risulta tanto più stupefacente se si pensa come uno stesso complesso orchestrale - quello della Fondazione Toscanini - possa "trasfigurarsi" a seconda di chi lo manovra e plasma. Il contrasto con la recente, strombazzante Turandot riluce come il sole. Finalmente si ritrova intatta l'originaria compagnia di canto - era ora! - Inamovibile il terzetto lui-lei-l'altro, cui in nuce tutto si riduce. Voce bella, risonante, fin vigorosa quella di Doina Dimitriu, disposta anche ad impalpabili, raffinate nuances. Purtroppo la pressoché totale inettitudine alle agilità della "coloratura" resta un suo vero tallone d'Achille, non si sa fino a che punto rimediabile. Stefano Secco, corretto, limpido, lineare, pare idoneo alle esigenze di Nadir, pur difettando delle pennellate di honey essenziali a un melodizzare che trasuda sensualità; quell'honey cui ci avvezzarono i paradigmi tenorili di un tempo. Permane il nodo gordiano della chiusa di Je crois entendre encore, monca in apparenza. Vexata quaestio: ossequio all'inveterata tradizione esecutiva o alla lectio originale dell'autore? Docet in proposito il caso della "Pira" verdiana. Rifulgono i pregi baritonali di Alessandro Corbelli per eleganza, eloquenza, giusto volume, colorito pastoso. Al solito figura onorevolmente Enrico Jori, habitué del Municipale. Assai positiva la prestazione del coro "C. Merulo" istruito da Franco Sebastiani. Il quadro (visivo), cui concorrono la meditata regía di Pier Francesco Maestrini, le scene e i costumi combinati in delicate policromie da Alfredo Troisi, le eleganti coreografie del Balletto del Sud, induce finalmente legittima gioia agli occhi. Il ricorso all'iconografia tradizionale, si dica pure "salgariana", con tutto il carico di esotismo che la qualifica implica, cancella radicalmente le bizzarrie, i colpi di testa, i fumosi enigmi, le elucubrazioni cervellotiche fino all'emicrania, cui temevamo doverci abituare, nolenti. Oleografia, maniera, Kitsch? Benvenuti, bentornati e benedetti in blocco, dopo tanti digiuni e astinenze. Con questi Pêcheurs de perles, Reggio Emilia rinverdisce i fasti di produzioni memorabili. Oggi pomeriggio si replica.
Francesco Bussi