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Sabato 24 Maggio 2003 - Libertà

Ricordando la rivolta del ghetto

Sessant'anni fa l'insurrezione di Varsavia: le testimonianze

Ancora oggi, ad oltre 60 anni dall'inizio delle persecuzioni antisemite in Italia, Luciano Meir Caro, rabbino di Ferrara, si considera un sopravvissuto. Ma per lui, come per tanti altri ebrei, la presa di coscienza del dramma consumatosi in pochi anni in Europa, è avvenuta solo gradualmente. L'altra sera a Piacenza, invitato all'auditorium della Fondazione per il concerto in memoria dell'insurrezione del ghetto di Varsavia, il rabbino Caro ci ha raccontato come avesse vissuto, ancora bambino, il periodo delle persecuzioni, in modo quasi inconsapevole, nonostante la deportazione del padre e di altri familiari. Tra le misure antiebraiche, l'allontanamento dalle scuole pubbliche: "Ma la cosa non mi ha turbato per niente. Facevo la prima elementare e non avevo fatto in tempo a farmi degli amici.
Buona parte del periodo della persecuzione l'ho trascorso in Versilia. Sono cresciuto come un selvaggio. A dieci anni non sapevo né leggere né scrivere. I miei genitori mi invitavano a stare fuori casa, in campagna.
Ho capito dopo che temevano i rastrellamenti e speravano che così mi sarei salvato". Verso la fine della guerra, l'inizio di una sconvolgente conoscenza: "Mio padre da Auschwitz non è più tornato. Il mio è un dramma che riguarda un po' tutti gli Ebrei italiani. Infatti, quando era stato catturato, mia madre, mia sorella ed io pensavamo andasse a stare meglio di noi, a lavorare nelle fabbriche tedesche, con il mangiare garantito.
Circolavano voci talmente tragiche che non ci credevamo. Ricordo mio padre quando diceva che era tutta propaganda, che non era vero niente". Che i campi fossero di sterminio diventa chiaro molti mesi dopo la fine della guerra. "E' stata la fase più dolorosa, nel 1946-47: capire quello che era successo e non noi non ce n'eravamo accorti". Sui 45.000 ebrei che vivevano in Italia nel 1938, si calcola furono 9.000 le vittime. "Un trauma che non abbiamo ancora superato. I nostri giovani ci chiedono: "Perché non avete reagito?" Non capiscono che non ci si rendeva conto della reale gravità delle cose". La vicenda della famiglia Caro è "un caso classico" anche del rapporto tra ebrei e altri italiani. "Mio padre è stato denunciato da fascisti. Quei 9.000 ebrei macellati devono quasi sempre la morte ad un loro concittadino italiano che per viltà, inconsapevolezza, odio o soldi, li ha denunciati. Mia madre, mia sorella ed io ci siamo salvati perché altri italiani ci hanno aiutati, rischiando la vita".
A Milano il Centro di Documentazione Ebraica contemporanea raccoglie tante testimonianze su quel periodo. "Ne esce un quadro della persecuzione in Italia - spiega il responsabile storico Marcello Pezzetti - molto peggiore di quanto la gente non creda. È un mito che le leggi anti-ebraiche italiane siano state disattese. Sono invece state applicate e il loro fine era la distruzione totale dell'ebraismo italiano". Da 15 anni l'istituto milanese raccoglie anche testimonianze filmate dei sopravvissuti. Un impegno importante, anche perché - afferma Pezzetti - l'humus antisemita, dal quale sono nate le leggi razziali, non è mai scomparso: "Si estrinseca soprattutto - sostiene - nei giudizi verso Israele".

A.An.

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