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Domenica 18 Maggio 2003 - Libertà

Werther e Carlotta in camera astratta

MUNICIPALE. Bel successo per la "prima" assoluta dell'opera di Glauco Cataldo, regia rarefatta di Tomassini. Cast all'altezza, nitida lettura di Mozzoni alla guida dell'Ofi

Finalmente l'ora è scoccata. Finalmente il compositore napoletano naturalizzato piacentino Glauco Cataldo entra a pieno diritto nella storia del Municipale, come da tempo è entrato meritatamente in quella della musica, in ambito tutt'altro che puramente locale e invece espanso ben oltre i confini nazionali. II suo atto unico Ancora Werther e Carlotta corona una lunga e operosa carriera, svolta all'insegna di un diuturno "esercizio", di un quotidiano "provare e riprovare" che implica rigorosa autodisciplina, ma insieme anche una lievità, un mai domo entusiasmo, una serena Weltanschauung, che con gli anni si è imposta come nota sempre più marcata e distintiva del suo "far musica". In sintesi, è il caso di ribadire - dopo averlo scritto in precedenti occasioni - che in lui si ravvisa una personalità atipica, estranea al mutare di correnti e di ideologie. Pur alieno dal piegarsi a vincoli di "scuole", Cataldo ha saputo tener fede agli imperativi categorici che gli provenivano da due maestri del calibro di Riccardo Zandonai e di Giorgio Federico Ghedini - per quanto polarmente opposti -, facendone tesoro nel coniugare lo sgorgo melodico dell'uno con il senso strutturale dell'altro e nel rivivere con discernimento critico le problematiche del Novecento. Impossibile ripercorrere qui le tappe di una copiosa e variegata produzione, che pur ribadendo con fedeltà e coerenza un basilare "credo", s'impronta anche giovanilmente di fantasiosa imprevedibilità, di bizzarrìa, di umorismo, di estro controcorrente. Tutto comunque rivive e si riassume, ridotto alla sua quintessenza, in Ancora Werther e Carlotta, nella sua tramatura diradata e persino rarefatta in strenua parsimonia, nella sua cifra sonora decantata in trasparenza. Anche Cataldo conosce e fa sua la fase alta e felice del "tardo stile", in coincidenza forse neppure fortuita con quanto di goethiano qui si respira, pur mediato dalla prosa illuminata di Thomas Mann. Idealmente convibrano musica e testo - steso, questo, con chiara competenza letteraria e sfrondato rispetto all'originale da Cataldo stesso - in una dimensione di sogno, che la memoria avviva, alona e avvolge col fascino onirico della lontananza, in prospettiva di quello che oggi è detto, genericamente, "neo-romanticismo". Scontata permane oltretutto la perizia, l'abilità di mano dell'artiere aduso ai più svariati cimenti compositivi, che tuttavia ancora non aveva attinto l'acme composita del teatro lirico. Basterebbe a dimostrazione la purezza di un'orchestrazione tenuta in genere su colori translucidi, di sottile suggestione (a parte i preludi, propensi a corposa densità fonica di stampo wagneriano, a detta dello stesso autore). Se sull'atto unico a due personaggi (oltre alle due interlocutorie voci interne di sfondo, affascinanti per finezza di scrittura) potrebbe incombere il pericolo della staticità d'azione, tutto avviva la fluida mobilità della condotta melodica, che svaria dal declamato arioso alle traboccanti espansioni liriche, da cui promanano esiti di suadente poesia. Attento al filone cameristico del teatro lirico novecentesco, fitto di basilari pietre miliari, Cataldo firma in Ancora Werther e Carlotta la summa della sua arte. Al limite di uno scrupoloso ripensamento, egli si è interrogato sulla legittimità di comporre opere agl'inizi del XXI secolo. La risposta, dati gli esiti, non può essere che positiva. Un contributo determinante conferisce, pur in formazione ridotta, l'Orchestra Filarmonica Italiana, che in futuro - malgrado il propotere d'orientamento onniverdiano dell'Orchestra della Fondazione Toscanini in dirittura d'arrivo - si spera e vivamente si auspica possa ugualmente fruire degli spazi e delle opportunità che merita. Una piacevole sorpresa (o non piuttosto una sicura conferma?) viene da Camillo Mozzoni, che conoscevamo quale provetto oboista e che ora si presenta in vesti direttoriali con forti propensioni al repertorio operistico contemporaneo, dispiegando sicurezza tecnica e consapevolezza stilistica e assolvendo con puntualità e nitidezza l'impegnativo compito. La presenza di Rossella Redoglia riesce decisiva, pur nella difficoltà del ruolo, sia dal lato di una vocalità sicura e vibrante, sia da quello di una convinta adesione. Dal canto suo, il baritono Pierluigi Dilengite affronta e risolve con destrezza musicale e mezzi adeguati, pur tendenti al tenorile, il problematico sdoppiamento Goethe-Werther. Intervallano l'azione le intromissioni collaterali, anche vocalizzate, medievaleggianti, comunque arcaicizzanti, di Giovanna Beretta e di Annarosa Agostini, cariche di grazia, gusto e delicatezza. Coinvolge l'ideazione registica di Stefano Tomassini, artefice di punta, estroso, anticonformistico nel basarsi essenzialmente su variazioni cromatiche e soluzioni luministiche ora graduate ora subitamente contrastanti, con manicheistica contrapposizione di nero e di bianco, onde si esalta una vicenda che si alimenta anzitutto di astrazione. Lodevole, fra l'altro, il rifiuto di "sceneggiare" i momenti puramente strumentali e quindi di conformarsi a un vezzo deprecabile e da noi sempre deprecato. Pubblico numeroso ieri sera al Municipale e vivo successo per Cataldo (premiato anche dall'assessore alla cultura Pareti) e per tutti i protagonisti. Auguriamo ad Ancora Werther e Carlotta di volare ben oltre le mura di Piacenza.

Francesco Bussi

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