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Lunedì 5 Maggio 2003 - Libertà

Roberto Martinelli: "Con lui è morto il giornalismo italiano"

Il vicedirettore del Corriere della sera dei primi anni '80 racconta l'avventura "entusiasmante e bellissima"

Roberto Martinelli è tra gli ospiti che interverranno all'incontro organizzato dalla Fondazione di Piacenza e Vigevano in ricordo di Alberto Cavallari. Editorialista de Il Messaggero, è stato vice-direttore al Corriere della sera negli anni in cui il quotidiano di via Solferino, umiliato dallo scandalo della P2 e piegato da una grave crisi finanziaria, fu diretto da Cavallari. In attesa dell'incontro di domani, gli abbiamo rivolto alcune domande. Chi è stato Alberto Cavallari? "lberto Cavallari è stato l'ultimo grande giornalista che ha avuto il nostro paese. E ha avuto la fortuna di dirigere un giornale senza editori, cioè un giornale in cui il direttore dava veramente la linea politica e decideva cosa pubblicare e cosa no. Alberto Cavallari è stato quello che ha preso il Corriere, che per lui era l'" istituzione Corriere", cioè un giornale che non doveva appartenere a un editore ma al suo pubblico, e lo ha consegnato, pulito, bello, sano, a chi poi lo ha comprato e ci ha fatto quello che ha voluto". Che esperienza è stata la vicedirezione del Corriere in quel triennio? "E' stata una battaglia continua, che cominciava la mattina con la riunione di redazione, in cui si parlava innanzitutto di quanta carta c'era e di quanto inchiostro era reperibile per quel giorno, e finiva a mezzanotte, quando chiudevamo il giornale. Però è stata anche un'avventura entusiasmante, bellissima, perché la soddisfazione di vedere poi il giornale il giorno dopo in edicola più bello, più informato, più completo di quelli dei concorrenti ci riempiva di gioia e ci aiutava ad andare avanti". Enzo Bettiza disse di Cavallari che aveva un temperamento "mercuriale", per cui passava dal più cupo umor nero alla più aperta allegria. Era davvero così? "Sì, Alberto era un umorale, un ribelle, un lunatico, però era un uomo di una grandissima professionalità e di una cultura eccezionale. Ed era anche un uomo molto buono. Ricordo la sera in cui ci lasciammo, quando vennero a salutarci tutti i colleghi che ci avevano aiutato (un gruppo molto ristretto, perché molti remarono contro preparandosi a consegnare il giornale al futuro direttore e alla futura parte politica che ne avrebbe avuto la compartecipazione): ebbene, quella notte Alberto Cavallari pianse come un bambino". Era anche un uomo di grande integrità morale e di assoluta indisponibilità ai patteggiamenti e alle riverenze. E' per questo che poi in qualche modo decise di autoescludersi dal giornalismo italiano? "Alberto scriveva per i suoi lettori, era un giornalista che credeva nel diritto all'informazione, non nella libertà di stampa condizionata dall'editore che ti costringe, anche inconsapevolmente, a dire certe cose. Basti pensare che quando ricevette l'incarico della direzione del Corriere non voleva accettare; poi Pertini lo convocò al Quirinale e gli disse "se non accetti sei un vigliacco", e lui accettò, ma solo perché un uomo come Pertini glielo aveva imposto. Questo dice molto sulla sua integrità morale". Il modo di fare informazione oggi sembra sempre più minacciare la democrazia piuttosto che garantirla. E' andato perso il "debito morale" che Cavallari sosteneva che i giornalisti debbano avere con la gente, ovvero quello di far conoscere ogni cosa secondo verità? "Per quanto mi riguarda, il nostro mestiere è finito. Il giornalismo è morto da tempo. E' morto con Cavallari direttore del Corriere. Basta guardarsi intorno e capire quello che accade, basta vedere cosa pubblicano i giornali, basta vedere come ormai l'informazione sia diventata informazione di parte. Questo, Cavallari, non lo avrebbe mai accettato, non lo avrebbe mai potuto sopportare".

CATERINA CARAVAGGI

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