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Domenica 4 Maggio 2003 - Libertà

L'epigrafe di Cavallari: "Visse, scrisse, viaggiò, cioè inutilmente fuggì"

Domani alle 16.30 all'auditorium della Fondazione di Piacenza e Vigevano il convegno in ricordo del grande giornalista

Si terrà domani alle 16,30 all'auditorium della Fondazione di Piacenza e Vigevano il convegno "Piacenza ricorda Alberto Cavallari". A ricordare il grande giornalista piacentino, scomparso il 20 luglio 1998, saranno il direttore del Corriere della Sera Ferruccio De Bortoli, Roberto Martinelli, editorialista del Messaggero, il cardinale Achille Silvestrini e Claudio Magris, giornalista e scrittore. Pubblichiamo di seguito l'"autobiografia" che Cavallari scrisse per il volume "Autodizionario degli scrittori italiani" (Leonardo Editore 1990). Il volume raccoglie le biografie di alcuni scrittori compilate da loro stessi. Poligrafo e viaggiatore del Novecento, è nato a Piacenza il 1° settembre 1927, ha svolto una lunga attività nell'industria giornalistica italiana, cercandovi quei rari margini di libertà e d'indipendenza che potevano esistere. Dopo il 1977 si è dedicato anche all'insegnamento nelle università francesi e inglesi. Personalità, stile di scritura, carattere, si possono desumere dalle vicende della sua vita. Dopo la Resistenza, debuttò nel giugno 1945 nell'"Italia libera", collaborando a molti giornali e riviste, del dopoguerra: "Milano Sera" di Gatto e Vittorini, "Corriere Lombardo" di Radius e Buzzatti, "Il Politecnico" di Vittorini, "Lettura" di Filippo Sacchi, "Pensiero critico" di Remo Cantoni, "Il Nuovo Corriere" di Bilenchi, "La settimana" di Marotta e Pratolini. Ha contemporaneamente tradotto Breton, Mark Twain, Shakespeare, Hogben. Nel '50 è stato tra i fondatori di "Epoca" con Alberto Mondadori passando nel '54 al "Corriere della Sera", come inviato speciale. Dal '54 al '69 ha viaggiato l'Italia, l'Europa est-ovest, il Medio Oriente, l'Asia, l'Australia, gli Stati Uniti descrivendo fatti di cronaca, eventi politici, guerre, rivoluzioni e svolgendo grandi inchieste, e nel corso di questi anni gli è stato attribuito un ruolo di protagonista nel "nuovo giornalismo" italiano. Ma la cosa è tutta da verificare. Ha comunque firmato centinaia di reportages e interviste, dalla rivolta di Budapest alle guerre israeliane, dalla caduta di Krushev alla rivoluzione culturale cinese, ed è stato autore della prima intervista mondiale a un papa (Paolo VI). Inchieste e cronache sono state raccolte in volumi tradotti in tutte le lingue: "L'Europa intelligente", "L'Europa su misura", "La Russia contro Krushev", "Il Vaticano che cambia", "Il potere in Italia", "Italia sotto inchiesta". Dopo il 1969 Cavallari ha diretto "Il Gazzettino" a Venezia, la redazione romana dell'"Europeo", trasferendosi nel 1973 a Parigi come corrispondente e inviato speciale della "Stampa", poi del "Corriere della Sera". Sono di questo periodo i libri "Una lettera da Pechino", "La Cina dell'ultimo Mao", "La Francia a sinistra", "Vicino & lontano" (primo volume di commenti, non più di cronache e inchieste, molto lodato da Sciascia); e sono di questo petiodo i suoi corsi universitari di " informazione pubblica" tenuti all'Université Paris 2 a partire dal '78, riuniti in dispense col titolo "La fabbrica del presente". Nel 1981, dopo che la crisi della P2 travolse il " Corriere della Sera", Cavallari fu chiamato a dirigerlo per restituirgli l'immagine distrutta dallo scandalo e trarlo dal fallimento economico. Questa direzione, legata alla "questione morale" e a una linea sostanzialmente "pertiniana", si è svolta tra controversie, violente lotte politiche, immense difficoltà, registrando perfino una condanna alla prigione del direttore (come nel Settecento) voluta dal capo del governo Craxi. Ma ciò non ha impedito a Cavallari, dopo tre anni, di lasciare dietro di sé un "Corriere" libero e completamente risanato (giudizio del tribunale di Milano). Tornato a Parigi nell'84, Cavallari ha quindi iniziato alla "Repubblica" la sua nuova attività di editorialista e proseguito quella universitaria, entrando a far parte anche dell'European Institute for the Media dell'università di Manchester, diventandone vicepresidente nell'89. Inutile menzionare premi e riconoscimenti che hanno accompagnato una vita certamente non facile, indubbiamente interessante, dopotutto fortunata. Emiliano come Verdi, Cavallari ebbe cara solo la Legion d'Onore, ricevuta, nell'82 da Mitterrand, che Verdi appunto metteva ogni sera a cena. Ma ebbe un debole anche per il premio della Pace, ricevuto a Roma nell'89 insieme al segretario generale dell'Onu, difficile da meritare dopo aver descritto tante guerre e vissuto tante lotte politiche. Infine: fu veramente orgoglioso di un solo elogio critico: quello che gli riservò Claudio Magris in "Danubio". Negli ultimi anni Cavallari (sposato dal '54, padre di due figli che riflettono certe sue curiosità, uno scienziato, l'altro diplomatico) ha cominciato a riflettere sulla vecchiaia in arrivo. Alcune di queste riflessioni sono consegnate a un piccolo libro, "La fuga di Tolstoj", pubblicato nel 1986, tradotto subito in Francia con successo. Infatti, egli è leopardianamente convinto che non la morte sia da temere ma la vecchiaia. Comunque sia, quando anche Cavallari avrà inevitabilmente una tomba, sarà facile scrivere l'epigrafe: "Visse, scrisse, viaggiò, cioè inutilmente fuggì".

ALBERTO CAVALLARI

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