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Sabato 7 Giugno 2003 - Libertà

Piacenza, città di conventi e di caserme: che fine farà?

Dalla prima pagina

E poi, le pareti sfregiate, gli affreschi semicancellati dalle infiltrazioni, alcune ringhiere mancanti, e quello che ancora nell'Ottocento era il più bel giardino del territorio piacentino ora ridotto a campo. Si dirà: non è colpa nostra, il castello è proprietà della Regione. Ma provate a spiegarlo ad un visitatore: non gli potrà comunque sfuggire che si tratta di un castello piacentino, parte della nostra storia ed eredità; misurerà dunque il nostro grado di civiltà dall'indifferenza con cui tolleriamo che il proprietario (non poi tanto distinto da noi: per un esterno, la Regione siamo noi) lo abbia abbandonato.
Sì, di beni storici e artistici ne abbiamo troppi. D'altra parte, non possiamo distruggerli o lasciarli distruggere dal tempo. Il nostro dovere, costi quello che costi (e costa molto), è conservare i beni ereditati dal nostro straordinario passato per tramandarli ai nostri discendenti e a tutta l'umanità. Per affrontare questa immane sfida contro l'oblio e quindi la perdita della nostra identità, non bastano i privati, né le pubbliche amministrazioni, né la Chiesa: tutti dobbiamo partecipare, ciascuno secondo le sue possibilità, e tutti dobbiamo essere grati a quei privati che, con i loro mezzi, talora scarsi, e i loro sacrifici, spesso molto grandi, mantengono in vita immobili di grande valore che, in ultima anaisi, appartengono anche a ciascuno di noi.
Ce la faremo? E quale sarà l'aspetto della città e del territorio in cui vivranno i piacentini delle prossime generazioni? In tutta sincerità, sono preoccupato: Piacenza ha un numero notevole di grandi e antichi conventi ormai quasi vuoti o da tempo adibiti ad uso militare. Dopo aver cessato di essere una città di frati, Piacenza si avvia a lasciare anche la qualifica di città di soldati. Il risultato è che queste grandi strutture sono (o saranno presto) vuote e inutilizzate. Si tratta di un patrimonio unico, da salvare, ma, perché si salvi, ogni suo pezzo deve avere una destinazione d'uso.
L'articolo pubblicato alcuni giorni fa su questo giornale da Giorgio Fiori dovrebbe essere preso a modello dal Comune di Piacenza per pianificare il salvataggio dei grandi edifici di proprietà pubblica. Non importa se molti di essi sono dello Stato: un Comune con le idee chiare su cosa fare di ciascuno di essi può più facilmente ottenere decisioni coerenti con le sue scelte o dismissioni a suo favore.
Così, per esempio, si sarebbe potuto decidere anni fa che, come recentemente proposto dalla Fondazione di Piacenza e Vigevano, il complesso di S.Vincenzo sarebbe diventato, nel tempo, il terzo polo musicale cittadino, i primi due essendo il Conservatorio Nicolini e il Teatro Municipale. Questo avrebbe impedito il doloroso passo falso del precedente Consiglio Comunale relativo alla doppia destinazione del palazzo ex-Enel, che è invece ovviamente da utilizzare per l'espansione della Galleria Ricci Oddi, nonché l'inspiegabile silenzio, foriero di chissà quali sviluppi, da parte della presente Amministrazione in merito all'offerta, di una generosità veramente imbattibile, recentemente pervenutale dalla Fondazione di Piacenza.
Certo, trovare usi ragionevoli e dignitosi per tutti i nostri grandi conventi non è facile. Ecco perché Giorgio Fiori ha ragioni da vendere quando dice che è assurdo costruire nuovi (e quindi, con altissima probabilità, irrimediabilmente brutti) edifici, per esempio per tutti gli uffici comunali, quando la città è ricca di spazi antichi (quindi, belli, o almeno gradevoli alla vista) da restaurare per salvarli. Quella dell'area ex-Unicem è una catastrofe annunciata e, temo, ormai inevitabile: si rovina un parco di cui la città avrebbe grande bisogno, si perde l'occasione (volendo proprio accorpare tutti gli uffici comunali) di salvare uno dei grandi edifici del passato, si costruiscono oltre mille nuove unità abitative di cui è molto dubbia la necessità; insomma, un'operazione di bassa priorità, di cui non si ravvisa l'urgenza, anche perché oggi le organizzazioni distribuite si accorpano con la telematica, non con la centralizzazione fisica; un'operazione anni Cinquanta, come se cinquant'anni fossero passati invano.
Meglio sarebbe mantenere le sedi comunali esistenti e utilizzare i fondi, che inevitabilmente (nonostante la prevista cessione di tali sedi ) dovrebbero essere sborsati dal Comune per la costruzione della nuova megasede, per raddoppiare la parte ovest della tangenziale: con una corsia per parte, ci vorrà coraggio a chiamarla così, e gli studi di tutti gli esperti che ci hanno garantito la sicurezza della rotatoria gigante alla Galleana non conteranno nulla quando dovremo guidare in colonna per molti chilometri. Vivranno i nostri nipoti in una città di Palazzi Farnese (dopo il restauro) o di Castelli di Montanaro? Non so. Ma gli auspici non sono favorevoli.

Domenico Ferrari

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