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Venerdì 6 Giugno 2003 - Libertà

In mostra i gioielli del cardinale

V settimana della cultura - Si concludono le celebrazioni per i 250 anni dalla morte del porporato e dalla fondazione del Collegio. Domani la presentazione di nuovi allestimenti e degli Atti del convegno del 2002. Un ostensorio tempestato di pietre e preziose tele

Oltre seicento lucenti e sfarzose pietre - topazi, rubini, zaffiri, diamanti, ametiste, granati, giacinti, crisoliti, smeraldi - ornano lo splendente Ostensorio in argento dorato che l'orafo piacentino Angelo Maria Spinazzi (Piacenza, 1693 - Roma, dopo il 1768) eseguì a Roma tra il 1761 e il 1762 su commissione dei padri Vincenziani della Missione, per onorare la memoria del cardinale Giulio Alberoni a dieci anni dalla sua scomparsa: la croce all'apice della mostra del prezioso manufatto è infatti ricavata dal pettorale del cardinale stesso e sulla base è inciso il caratteristico stemma alberoniano.
E' un oggetto di straordinario impatto visivo, nel quale la variegata gamma cromatica delle pietre e la minuzia degli elementi decorativi (festoni, figliami, conchiglie…) si fondono con una concezione monumentale di gusto ancora pienamente barocco, dalla base a sezione triangolare sino al digradare del fusto a balaustro e alla sfolgorante esplosione della raggiera attorno al nuvolario. La base, con un profilo a volute sagomate arricchite da elementi vegetali, è ornata da tre splendidi angioletti realizzati a fusione che recano i simboli delle virtù teologali, la fiamma per la Fede, la croce per la Speranza e l'ancora per la Carità. E a tanta brillante invenzione si aggiunge un'esecuzione di eccezionale virtuosismo tecnico, per la qualità della fusione, delle dorature, del cesello dei più minuti particolari decorativi, per la raffinatezza della montatura delle pietre. Intorno a questa straordinaria testimonianza storica, artistica e liturgica si organizzerà la giornata di domani al Collegio Alberoni: per consentire infatti ad un più vasto pubblico di conoscere questo favoloso pezzo dell'oreficeria settecentesca, fino ad ora custodito in cassaforte e visibile solo in circostanze eccezionali, è stato in questi ultimi mesi approntato un allestimento permanente, che ne garantisca la contempo la sicurezza e la visibilità. Potremo dunque da domani ammirare l'Ostensorio "gemmato e dorato" entro una preziosa teca, progettata dall'architetto Giorgio Graviani e realizzata dalla Ditta Astarte di Brescia, in una raccolta "camera del tesoro" attigua all'Appartamento del cardinale all'interno del Collegio, dove sono già esposti i più preziosi cimeli delle collezioni alberoniane, tra cui il celebre "Cristo alla colonna" di Antonello da Messina.
Sarà l'occasione per ammirare di nuovo le preziose tele che ornano questi ambienti, il "San Pietro piangente" attribuito a Guido Reni, le "bambocciate" di Michelangelo Cerquozzi, la suggestiva "Allegoria del tatto" del Caroselli, la "Madonna col Bambino" del Maestro dei putti bizzarri, le "Allegorie del processo all'Alberoni" del Solimena e di Placido Costanzi; accanto a questi capolavori si potranno osservare da vicino, anch'esse in un nuovo allestimento, le due tavolette del pittore fiammingo Jan Provoost, la "Madonna della fontana" e il celebre "bicchiere di fiori", che in origine ne costituiva il raffinato rovescio. Entrambe le tavolette erano esposte nella "stanza apparata di quadri", collocata accanto alla Galleria nobile, nel palazzo romano del cardinale, dove sono registrate nell'Inventario risalente al 1735, quella con la Madonna con una curiosa attribuzione a Pietro Perugino.
Nella stima dei dipinti della raccolta alberoniana redatta nel 1760 dal pittore Stefano Pozzi il quadretto con la Vergine venne valutato 10 scudi e il bicchiere di fiori la metà, in linea con lo scarso apprezzamento dei "primitivi" caratteristico del gusto del tempo (basti pensare che il "Cristo alla colonna" di Antonello venne in quell'occasione stimato appena 6 scudi). Nel 1735 doveva essere già stata compiuta la rischiosa operazione di divisione della tavola originaria e pertanto i dipinti continuarono per lungo tempo ad essere ritenuti due opere autonome: solo nel 1937 padre Gian Felice Rossi rilevò, attraverso un'attenta analisi delle venature del legno, che essi provenivano dalla medesima tavola e che dunque in origine il vaso di fiori doveva costituire il rovescio della raffigurazione sacra.
Fu il grande conoscitore Max Friedländer, nella sua monumentale opera sull'antica pittura fiamminga (1931), a proporre per primo il nome del Provoost - uno dei più significativi rappresentanti della Scuola di Bruges all'inizio del XVI secolo - quale autore di questo squisito capolavoro, un'attribuzione che in seguito è stata accetta dalla maggioranza degli specialisti. Il pittore ci offre con questa tavoletta, databile al 1510 circa, una sofisticata interpretazione dell'iconografia della Vergine, rifacendosi ad un celebre prototipo del grande caposcuola Jan van Eyck, la "Madonna della fontana" oggi al Museo di Anversa (1439), riletta alla luce delle esperienze più "moderne" di maestri come Gerard David e Hans Memling.
Un'atmosfera intima e colloquiale pervade la composizione, nella quale la Vergine col Bambino è raffigurata al di sotto d'un sontuoso baldacchino sostenuto dagli angeli e all'interno di un giardino fiorito, entro il quale troneggia una fontana. Il simbolismo della scena è evidente e si rifà agli attributi della sposa nel "Cantico dei cantici", tradizionalmente identificata con la Madonna: ella viene infatti paragonata ad un "hortus conclusus", ma anche ad una "fonte di giardini" e ad una "sorgente d'acque vive". Il vaso di fiori in origine sul rovescio della tavola non fa che rafforzare ulteriormente questa sottile simbologia: la rosa bianca, senza spine, evoca la castità e la purezza della Vergine, così come il trasparente bicchiere di cristallo; il garofano rosso, simbolo d'amore, è anche per il suo colore un'allusione alla futura Passione di Cristo; la margherita, fiore che si schiude a primavera, richiama d'altra parte la Resurrezione. Metafora della Vergine e del mistero dell'Incarnazione il vaso di fiori è anche uno straordinario pezzo di bravura pittorico, una delle primissime "nature morte" autonome dell'arte occidentale: basti osservare la raffinatezza della gamma cromatica, dal grigio verde della parete al caldo tono ambrato della rosa, e poi lo stupefacente effetto di trasparenza dell'acqua entro il bicchiere e dell'ombra portata del garofano sul fondo della nicchia.
Il nuovo allestimento di queste opere si iscrive in un più ampio progetto di tutela, conoscenza e valorizzazione del vasto patrimonio alberoniano, che la nostra Soprintendenza conduce da alcuni anni, in feconda intesa e collaborazione con i padri vincenziani, con l'Opera Pia e con numerose altre istituzioni, sia pubbliche sia private, come l'Istituto Beni Culturali della Regione Emilia-Romagna, la Provincia e il Comune di Piacenza, le Autostrade centro-padane e la Cementirossi. Questa collaborazione ha già dato i suoi frutti nel restauro dei due preziosi arazzi cinquecenteschi di Bruxelles della Serie di Priamo, che si possono oggi ammirare a Palazzo Farnese, e nel riallestimento, lo scorso anno, del "Cristo alla colonna" di Antonello da Messina. La festa di domani sarà oltretutto allietata dalla pubblicazione e dalla presentazione del volume degli Atti del convegno internazionale dedicato al cardinale Alberoni, svoltosi a Piacenza lo scorso anno: è un libro prezioso, dedicato soprattutto all'approfondimento degli aspetti politici e diplomatici della carriera dell'insigne prelato e alla storia della sua creazione più importante e duratura, il Collegio di San Lazzaro. Un volume che esce oltretutto con grande tempestività, grazie al contributo generoso della Cementirossi, a suggellare la conclusione di un intenso anno di celebrazioni.

* Soprintendenza PSAD di Parma e Piacenza

Davide Gasparotto*

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