Martedì 15 Luglio 2003 - Libertà
Musica Klezmer e sonorità gitane: il Mosaik omaggia i popoli erranti
Valtidone Festival - Trascinante esibizione ad Agazzano per il quartetto
Il santone del tango Astor Piazzolla non faceva mistero di preferire alla nuda tecnica musicale la capacità di evocare emozioni "vissute". Tanto che, quando si imbatteva nei classici strumentisti "bravi ma freddi", li liquidava con un commento rimasto proverbiale: "Sei bravo, ma manca il "barro de barrio""; gioco di parole che, in italiano, si può rendere con "Il fango del quartiere". Il fango del quartiere è il titolo, non casuale, di un disco in uscita che i buongustai attendono con ansia. Si tratta del quarto album del Rhapsodija Trio (Maurizio Dehò al violino e Gianpietro Marazza alla fisarmonica, Luigi Maione alla chitarra), gruppomilanese che esplora con talento e passione immensi le tradizioni del klezmer (il folklore musicale degli Ebrei della Mitteleuropa e della Russia) e della musica zigana.
Una miscela inebriante e commovente che esalta ancor più quando il trio - con l'ingresso del contrabbassista Luca Garlaschelli - si fa quartetto, prendendo il nome di Mosaik Group.
Nato l'anno scorso nella cornice del Valtidone Festival (tutto partì da un'idea del direttore artistico Livio Bollani) e battezzato da una travolgente esibizione al Castello di Santimento, il Mosaik Group è stato lestamente confermato fra le attrazioni del cartellone 2003 di questa rassegna organizzata dai Comuni del comprensorio con la Fondazione di Piacenza e Vigevano e la collaborazione di Libertà. E ad Agazzano, l'altra sera, i quattro moschettieri hanno trascinato il pubblico che riempiva Piazza Europa con un'esibizione intrisa di pathos, di umorismo, di irresistibile calore umano (come si dice "barro de barrio" in yiddisch?). Klezmer e musica gitana non sono accomunati solo dalla propensione per le scale lidie (variamente alterate) o dalla tragica affinità del destino di Ebrei e Zingari, popoli erranti e perseguitati: la contiguità fra queste musiche e questi musicisti è storicamente documentata; non a caso si sta svolgendo a Pinerolo un festival dedicato a entrambi i generi, che domani sera schiera i Nostri in cartellone.
"Ci sentiamo come quei pazzi che stanno cercando di ricostruire i Buddha di Bamyan" dice Dehò, "violinista sul tetto" nato per sbaglio in Lombardia, per spiegare l'umile e amoroso approccio della band a questa doppia tradizione. Nella piazza di Agazzano le irresistibili Trello hara poservico (ovvero, Il ritmo del macellaio serbo) e Lisa la cavalla si sono alternate alle melodie rumene della stella Kazanova, il sublime trasporto del klezmer nuziale Oi Tate, s'iz git a una Shéhérazade suonata come dolente ninna nanna per i bambini bombardati di Baghdad, gli stornelli della Russia gitana alla micidiale velocità delle "hore" zingare.
Musica, quest'ultima, la cui intima sostanza "libertaria" è splendidamente illustrata dallo stesso Dehò: "Abbiamo fatto un concerto a San Vittore per i detenuti "infami", quelli che stanno in isolamento. Uno di loro ha voluto cantare e noi lo abbiamo accompagnato in Tanta voglia di lei dei Pooh.
Quando è arrivato alle parole "Mi dispiace, devo andare/ il mio posto è là", che per un detenuto hanno un senso particolarmente angoscioso, gli altri prigionieri hanno cantato in coro con una veemenza che ci ha sconvolto.
Così abbiamo deciso di fare per loro una "hora" suonando veloce, sempre più veloce, come a dare l'idea di una fuga, un'evasione, coi muri della prigione alle spalle e una vita nuova davanti".
Oliviero Marchesi