Domenica 13 Luglio 2003 - Libertà
Macbeth al Castello, da incorniciare
LIRICA A VIGOLENO. Esaltante "prima" verdiana con il "tutto esaurito", direzione impeccabile di Neuhold. Per Servile, Rezza, Anastassov e Ventre applausi e ovazioni
Tanto che persino coloro che diffidano (a ragione) della "lirica all'aperto" rimarranno conquistati da questa esecuzione di levatura realmente internazionale. Quali sono le ragioni di un esito così felice? Tante, a partire dalla stessa scelta del titolo. La vocazione "verdiana" che la Toscanini ha voluto imprimere alla stagione estiva di Busseto-Vigoleno non è certo un mistero, e l'apertura con un'opera del Maestro di Sant'Agata è divenuta una convenzione irrinunciabile. Ma dopo opere familiarissime come Il trovatore e Rigoletto, è certamente stimolante imbattersi in Macbeth, sublime capolavoro poco familiare - tolte tre o quattro arie - al grande pubblico (e che certamente trae un irresistibile guadagno spettacolare dall'uso di un vero castello come "fondale"). Primo e decisivo incontro di Verdi (la prima versione, quella "fiorentina" del 1847, è opera di un compositore di 34 anni) con l'idolatrato Shakespeare, Macbeth è il laboratorio in cui viene forgiata una nuova, visionaria drammaturgia musicale che ancora oggi sbalordisce per modernità. Il serrato gioco di sfumature in cui qui si risolve la tensione di Verdi alla "brevità e sublimità" della tragedia svanisce se è affidato a un direttore d'orchestra routinier. Ma il nome di Günter Neuhold, qui alla guida di quell'Orchestra della Fondazione Toscanini che conosce come le sue tasche, è per fortuna una garanzia; e va detto che il direttore austriaco segue integralmente la versione "parigina" del 1865, tagliando solo le dispensabili musiche per balletto del terz'atto (si perde l'affascinante Adagio finale di Macbeth nella partitura fiorentina, ma si ascolta quel sommo vertice dell'arte verdiana che è l'aria di Lady Macbeth La luce langue) e supera se stesso nell'evocazione degli arcani chiaroscuri di una musica tesa all'Indicibile, nella valorizzazione dei particolari, nella magistrale capacità di stringere il tutto in unità. Il più evidente atout del Macbeth di Vigoleno sta comunque nella stellare compagnia di canto, a partire dal protagonista Roberto Servile, grande baritono e grandissimo interprete (premiato da ovazioni dopo Pietà, rispetto, amore) che non finisce di stupirci per la sensitività con cui penetra ogni partitura e che qui aderisce a ogni sfumatura del flessibilissimo "declamato" della parte, ottemperando stupendamente al precetto verdiano di "servire il poeta". Quasi altrettanto esaltante Alessandra Rezza, uno dei pochi veri soprani drammatici dei nostri giorni. Forse una cantante così giovane dovrebbe rallentare la sua esposizione a opere tanto impegnative; ma finché canterà così sarà, come si suol dire, tanta manna: un superbo timbro scuro e una grande personalità le hanno garantito vere e proprie ovazioni, specie al termine della scena della lettera e di quella del sonnambulismo. Il giovanissimo ma già acclamato basso bulgaro Orlin Anastassov (Banco) ha due caratteristiche: una voce favolosa per cavata, omogeneità e timbratura; e una devozione così accesa al suo grande conterraneo Nicolai Ghiaurov da sconfinare a tratti nell'imitazione (di qualità). Se la piena maturità deve forse ancora arrivare, il presente è già notevolissimo. Il tenore Carlo Ventre - salutato da applausi specie dopo Ah, la paterna mano - è un Macduff di bella voce, dagli acuti sicuri e dal giusto pathos. Ottima anche la prova dei comprimari (il Malcolm di Stefano Pisati, la Dama di Monica Minarelli, l'ottimo Medico del piacentino Davide Baronchelli, il Sicario e l'Araldo di Devis Fugolo, l'Apparizione di Jung-Bin Yoon), maiuscola quella del Coro Master di Piacenza diretto da Corrado Casati. Ben aiutato dalla recitazione dei cantanti e dalle efficaci coreografie curate da Giuseppina Campolonghi per l'Accademia "Domenichino da Piacenza" (tra i figuranti c'è il piccolo Nicola Barabaschi, bravissimo Fleanzio), Riccardo Canessa offre una regia molto tradizionale. I costumi di Francesca Romana Scudiero propongono i consueti accostamenti di nero e rosso sangue e le consuete streghe con l'abito a brandelli, mentre le scene di Poppi Ranchetti (con le rovine che sembrano puntellare il torrione del castello e i nugoli di polvere che si levano dagli spalti) e le luci di Nevio Cavina sono suggestive nella loro evocazione di una fortezza assediata. A sollevare questa messinscena al di sopra di una pedestre "regia di servizio" sono comunque l'uso intelligente degli elementi coreutici e mimici (cambi scena compresi) e intuizioni come quella della strega che nel duello finale leva la spada dalle mani di Macbeth, consegnandolo disarmato al suo nemico e al suo destino. Oliviero Marchesi
Fra gli spettatori dell'applauditissima prima del "Macbeth" di Verdi dato ieri sera col "tutto esaurito" al Castello di Vigoleno, così come fra i critici di varie testate che ("travestiti" da invitati) hanno assistito all'anteprima di giovedì, il commento ricorrente suonava così: "Ero venuto qui l'anno scorso per il "Rigoletto" di Sgarbi, ma questa è un'altra cosa". Vero. Questo "Macbeth" di sfolgorante resa vocale e orchestrale è di gran lunga il miglior spettacolo che, nei 3 anni della stagione lirica di Vigoleno sia mai andato in scena sullo sfondo della "perla della Valstirone".