Sabato 25 Ottobre 2003 - Libertà
Palazzo Gotico, questo sconosciuto
L'INTERVENTO
Definire poco noto l'emblema della città non è una provocazione. Di tutti i monumenti piacentini, Palazzo Gotico - presenza maestosa e arcana, dal formidabile impatto e dalla fascinazione per molti versi inesplicabile - è quello di cui meno si sa. Ricordiamo Dickens, a Piacenza nel 1844, e il suo stupore trasognato: "Un palazzo solenne e misterioso, vigilato da una coppia di statue gigantesche, geni gemelli del luogo, si leva con gravità nel mezzo della città morta. Il Re dalle gambe di marmo che visse ai tempi delle Mille e una Notte potrebbe starci lietamente e non avere mai la forza, nella metà superiore fatta di sangue e di carne, di volerne uscire". Dopo centosessant'anni, dibattiti e restauri, poco è cambiato. Il nostro palazzo resiste - enigmatico, sfuggente - a chi lo interroga con lo sguardo e col pensiero.
E' anzitutto l'unico, tra le grandi architetture cittadine, a non possedere una monografia che ne indaghi l'identità in rapporto ai grandi eventi urbani ed europei. E la principale motivazione va cercata nella latitanza della storiografia: è difficile trovare, in Italia, chi sappia trattare con competenza il gotico civile. Manca una tradizione nella ricerca. Degli edifici pubblici in età comunale si sono occupati - con forte motivazione, bisogna dire - i padri dello storicismo e del restauro durante l'epopea risorgimentale. Ma erano troppo condizionati da una visione trasfigurata del medioevo per consegnarci risultati che fossero storia e non leggenda. Con il Novecento, il vuoto: solo qualche pioniere, in ordine sparso, si è avventurato nei territori del gotico municipale. Tra i pochi va ricordata una grande studiosa di famiglia piacentina, Angiola Maria Romanini, recentemente scomparsa. Le sue maggiori opere sull'argomento risalgono ormai agli anni Sessanta e nessuno ne ha ancora raccolto l'eredità.
Controverse anche le ipotesi sul progetto e sulle funzioni del Palazzo. Non "broletto" in senso classico, quanto meno non solo sede dell'Anzianato. Era anche e soprattutto, come ha dimostrato Piero Castignoli, la Casa (domus) della Società dei mercanti e dei paratici. Dunque parlamento e governo cittadino coabitavano col potere economico/politico a conduzione guelfa, i loro Consigli operavano affiancati. Ma in che modo? Come si ripartivano gli spazi? A quale delle due assemblee era destinato il salone sospeso sulla Piazza Grande? Non sappiamo. Il cantiere s'interrompe agli inizi del Trecento e il Sublime Quarto resta incompiuto, nascondendo nelle membrature le intenzioni del disegno originario. L'intero del Palazzo si nega anche all'immaginazione: rimangono indizi - tracce delle fondazioni, gli attacchi dei corpi laterali - che non consentono certezze sull'immagine complessiva. E poi l'orientamento: perché l'inclinazione rispetto agli assi della città antica?
Ancora enigmi nelle componenti edilizie. I disassamenti tra le polifore e gli archi ogivali del portico (come si spiegano nella ratio matematica della partitura?); la radicale discordanza tra fronte cuspidato orientale e l'occidentale squadrato; la simbologia delle decorazioni, gli infiniti particolari incisi e scolpiti sulla muratura...
Un edificio pubblico, nella città medievale, è sempre un manifesto ideologico e culturale: ogni dettaglio - in sé e nel tutto - è portatore di senso. Ciò vale per il tempio laico non meno che per il religioso, dall'accentuato virtuosismo strutturale: se nel gotico civile non troviamo la grande ingegneria delle cattedrali, ravvisiamo la complessità di un'armatura intellettuale nella quale rifulge il pensiero classico veicolato dalla Scolastica. Nell'architettura che essa ordina e sostiene la città stessa si è proiettata ed è tempo di recuperare le chiavi delle sue porte. E' ora che la Storia - il Re dalle gambe di marmo - ne esca e si lasci incontrare.
* Delegazione Fai Piacenza
MARCELLO SPIGAROLI*