Domenica 28 Settembre 2003 - Libertà
La pazzia d'Orlando è il mal d'amore
Un susseguirsi di emozioni con gli allievi dell'accademia "D'Amico"
Il centro studi sul Teatro Medievale e Rinascimentale diretto da Federico Doglio ha offerto, oltre a contributi teorici sui Temi epici del teatro del '500/'600, anche uno spettacolo esemplificativo. Al Teatro dei Filodrammatici, gli allievi del primo anno dell'Accademia d'Arte Drammatica "Silvio D'Amico" di Roma, diretti dal docente e regista Giuseppe Rocca, hanno inscenato La pazzia d'Orlando, opera tragica di Giacinto Andrea Cicognini. Autore fiorentino (1606) di una vastissima produzione di canovacci, libretti, drammi sacri, Cicognini, figlio d'arte, fu egli stesso teatrante. Il teatro usciva dai palazzi principeschi per divenire arte condivisa dal pubblico delle piazze. Pur mantenendo i riferimenti alla poesia epica, lo spettacolo doveva conquistare un pubblico meno elitario. Ed ecco entrare in scena le maschere, linguaggi riconoscibili come i dialetti, l'esibizione di una corporeità attoriale evidente e ambigua. Cicognini, attore e scrittore, conosceva bene le esigenze del palcoscenico, i ritmi giusti e quando occorreva alleggerire o andar giù di brutto per cavar la risata e calcare il piede per commuovere. Opera tragica, così definita, La pazzia d'Orlando volge presto in commedia. Il manoscritto del 1642, puntualmente recuperato da Doglio, opportunamente accorciato e adattato per la messa in scena da Giuseppe Rocca, offre 2 livelli subito evidenti: quello dei personaggi eroici e quello dei contadini e delle maschere, nelle loro caratterizzazioni dialettali. La scena offre campo a tutte le situazioni nella sua voluta indeterminatezza: un bosco, una fonte. E'in corso la guerra, gli eroi ci son tutti, Orlando, Angelica, Zerbino, Isabella e Nedoro, scudiero del re Dardinello. A sopportare il peso della violenza sono come sempre i più poveri, i contadini che si vedono i raccolti danneggiati. Gli eroi, nell'asperità della battaglia inseguono Amore, che è poi il motore di tutto. Cade il povero Medoro ferito e chi lo salva se non Angelica che subito s'innamora? La storia è il classico triangolo amoroso, lui, lei e l'altro, che senza merito se non d'essere ferito, conquista la bella. Per fare ore di spettacolo (ne son rimaste 3), come chiedeva la piazza, ecco entrare in scena Parasacco, servo sciocco ma non troppo, Scapino e poi un pastore e 3 svampite pastorelle. Parasacco, napoletano, pusillanime, è abile, con le sue capriole, a guadagnar consenso e pareggiare in scena con i maggiori. Assoldato da Orlando come palafreniere ne asseconda la follia, così che il tragico si volge in comico, fino alla guarigione finale, portata con "il divin liquore" da Astolfo. Bravi tutti i giovani attori: Roberto Pappalardo, Gabriele Geri, Alessandro Casula, riccardo Ricci, Marco Grossi, Aurora Peres, Ilaria Genatiempo, riccardo Francia, Pablo Torregiani, Federico Vincenti, Valentino Taddei, Eleonora Santoro. Le musiche d'epoca sono eseguite dalle sorelle Barbatelli. Calorosi applausi del pubblico tra cui non spiccavano gli studenti che pure affollavano l'auditorium in mattinata.
Gian Carlo Andreoli