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Martedì 30 Dicembre 2003 - Libertà

Canepari, un pittore surrealista nella "Storia di Piacenza"

In copertina del volume dedicato al '900 un suo incantevole dipinto traboccante di bellezza e sentimento

L'opera surrealista di Stefano Canepari "A Piacenza" è un dipinto di evidente valore artistico e storico, definito dal professor Arisi "un quadro che entra nella storia piacentina".
La sua immagine campeggia sulla copertina del VI volume della Storia di Piacenza che trae in sintesi il Novecento piacentino, tra gli anni 1946 e 2000.
Il dipinto in questione fu esposto, per la prima volta, in Sant'Agostino nel 1984 e poi a palazzo Gotico, nel giugno 2002, nella mostra del "Surrealismo padano", curata da Vittorio Sgarbi, personaggio estroso e noto in tutta Italia che, grazie alla sua collaboratrice Laura Gavioli, lo scelse per la mostra.
Dunque accostarsi al concetto di quest'opera, alla sua struttura organizzativa così composita, al carattere di perfezione e classicità, all'intersecazione, ovvero alla fusione tra intelletto e sentimento, per gustarla, richiede allo spettatore la massima calma. Accostarsi con attenzione è molto importante, per gustarla bisogna capirla.
Innanzitutto Canepari è "un piasintëin dal sass" e mai è rimasto indifferente alla nostra città; l'indifferenza è un sentimento di insensibilità e di apatia, l'amore e l'odio sono cose vive, germogli che portano al presupposto di un'analisi interiore, all'introspezione dell'anima e al pathos, e lui la ama davvero la sua città!
E'nato nel 1949, quindi è giovane.
E'stato il primo allievo di suo padre, ottimo pittore, e attraverso i suoi dipinti è attratto dal colore e lo sperimenta. Lavora sodo, con la maturità nascono le sue immagini, figure che si deformano, come i personaggi che soffiano bolle di sapone, con braccia allungate e dita sottili, quasi prensili, Pulcinella dal naso camuso, trasformatore di quadri famosi come il "Tommaso Inghirami" di Raffaello, rivisitato in forma paradossale: un soffio di vento porta via il berretto del cardinale perché "tutto intorno a noi cambia e non ce ne rendiamo conto" dice l'artista.
Basta un soffio di vento, un alito, una sfumatura mentale, un'idea riflessa in uno specchio, che una parte di Canepari si rovescia sulla tela: amore assoluto, dedizione assoluta.
Vero è che il mistero, nella sua pittura, è di casa; immagini come timbri, agglomerati di cromatismo e stesure che contengono in sé le ragioni mirabili e prodigiose dell'esperienza; come i rossi cinabri, i rossi veronesi, i bruni, le terre, i bianchi caldi che al di là delle sfere cromatiche sfornano colate grondanti di struggente poesia.
Quante cose penso quando osservo una sua opera, i pensieri sono come una pioggerella fitta, quasi impalpabile e mi penetrano dentro. Penso alle sue doti e alla sua forza morale, al coraggio di perseguire i suoi propositi senza esitazione e senza compromessi.
E se penso anche al suo disegnare mi convinco che è il pittore piacentino più accorto per estrarre dal suo subconscio le cose che si definiscono "disegni", disegni metamorfici che subiscono il processo di modificazione e trasformazione dello stile barocco, come fonte di ispirazione moderna.
Canepari non "scrive con la pittura", la costruisce.
L'opera "A Piacenza" non è un dipinto commemorativo dei Farnese, una vicenda politico-sociale o un fatto di cronaca, è qualcosa di più; è un vagare con la fantasia, è l'immaginazione improntata e ispirata essenzialmente nel segno del fantastico surreale; è un bellissimo stupendo quadro, dipinto da un creatore autonomo.
In questo dipinto sta il senso mitologico della pittura canepariana: a me fa pensare a un sogno, alla trasfigurazione di un fatto misterioso accaduto sotto i portici di quel luogo, un evento nell'invisibile, un accadimento nascosto in un'altra realtà parallela, un risveglio dei Farnese in fuga, evocati dal fluido introspettivo dell'artista.
L'immagine della testina di putto che buca la tela, come a voler entrare nel nostro tempo, rappresenta l'invito per un trasporto del nostro sguardo; cioè la metamorfosi dei due tempi, entrata e uscita del nostro occhio, tempo reale e tempo antico. Lo sguardo è risucchiato all'interno di quel tempo, proprio attraverso la testina del putto, oltrepassando lo spazio ne diventa il "tramite". Una specie di ironia sul tempo e sulla sua sensualità; sublimazione poetica in una visione limpida e di raffinata spiritualità.
Dipinto sotto una luce di bagliori lunari, in uno scenario di aspetto prospettico, un mastodontico cavallo scalpita, investito da fulgidi riflessi, domina la scena in un movimento di involontaria sottomissione; putti che svolazzano da tutte le parti, in fuga, agitati, sospesi nelle contrazioni scure dei loro corpi, permeandone l'atmosfera e tutto l'insieme.
In questo dipinto Canepari è "posseduto" dalla sua visione ironica, in una bizzarria extratempo dove l'immaginario è una via talmente tortuosa da portare l'artista oltre il mito della pittura e dei concetti convenzionali.
Questo dipinto non cesserà mai di incantare, anche chi indugia, timidamente, alla scoperta di un'opera che trabocca di bellezza. Insomma è un'opera che pare sia stata guidata da una regia soprannaturale, nella quale il suo pensiero esplode lirico, allucinogeno e tipicamente piacentino.

GIANCARLO BRAGHIERI

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