Lunedì 29 Dicembre 2003 - Libertà
Eleganza e intensa espressività per "Aida"
Stagione lirica - Successo al Municipale per l'opera verdiana con la regia di Zeffirelli e la direzione di Stefanelli. Belle voci, spicca Aldrich. Ottima regia ma manca il balletto
Ovviamente auspicato dai più, il ritorno di "Aida" segna, nell'iter della Fondazione Toscanini, una positiva virata in direzione "popolare" nel senso migliore del termine, dopo la mossa - invero accorta, in certo senso culturale, didascalica, dimostrativa - di riservare alla serata inaugurale il ripescaggio del desueto "Aroldo". Il fascino che "Aida" esercita e in perpetuo eserciterà sulle folle affonda le radici in ragioni sostanziali, che parrebbe fin ozioso e pedantesco tornare ad elencare pur sommariamente per l'ennesima volta, quasi per un vacuo sfoggio di erudizione.
E'il caso allora di limitarsi a scarne osservazioni essenziali: dalla compenetrata fusione di musica e dramma - e dramma di gelosia motivato in parallelo dalla stessa biografia verdiana - alla prorompente invenzione melodica solare e mediterranea, all'impianto di grand-opéra pur trafitto da un lacerante empito passionale, all'ordito fondato su un'intelaiatura di temi ricorrenti ariosamente predisposti, comunque immuni da contaminazioni di sapore wagneriano.
Spacchiamo pure il capello in quattro nell'imputare ad Aida certa inclinazione passatista, conservatrice, quasi un passo indietro rispetto a Rigoletto, a Traviata, a Forza del destino, un ritorno a principi estetici superati, peraltro imposti dalle finalità "cerimoniali" per cui l'opera fu composta.
Ma ben altri fulgori vi si additano, massimamente quel sottile, quintessenziato "colore locale", quell'ardito esotismo d'avanguardia che di lì a poco rifiorirà in Butterfly, in Iris, in Turandot, per limitarci ad alcuni dei capisaldi. Ma con una differenza sostanziale: non già il mero ricalco, la citazione etnofonica, d'altronde problematica in Aida in quanto le vestigia musicali dell'antico Egitto permangono fantomatiche; bensì l'assoluta, moderna, radicale "invenzione del vero" in direzione melodica, armonica e timbrica secondo il più autentico "credo" da Verdi costantemente, ferreamente professato.
Rutilante di luci, colori e fantasiosi orpelli teatrali, frammista di cori, balli, cortei e marce, fitta di folle, svetta la scena del trionfo, peraltro strutturata con tetragona organicità dal demiurgo Verdi. Ma il vero trionfo dell'invenzione risplende là ove essa s'intimizza in tinte crepuscolari e velate d'ombra, in evocativi chiaroscuri di "notturno", come quello che apre l'atto in riva al Nilo: formidabile intuizione preimpressionistica, sospesa fra cielo e terra, tra fremiti di onde e sciabordii di acque, oltretutto presaga di innumeri e imminenti invenzioni del tipo morceau de salon dai pittoreschi titoli evocativi, delizia delle "signorine di buona famiglia", dilettanti di pianoforte, di un tempo che fu.
Oltretutto, questo inizio di atto può assurgere a criterio di base per misurare il grado di musicale maturità e intelligenza di un uditorio, a patto che esso non lo forzi a naufragare nel pelago di una generale indifferenza condita di indesiderati colpi di tosse, sussurri, starnuti e scalpiccii, oltre che di petulanti "telefonini".
Ed è proprio nell'ottica dell'intimismo "cameristico", della rarefazione, della riduzione di un Kolossal operistico ai minimi termini che s'inquadra la visione registica di Zeffirelli, studiatissima nei tanti particolari significanti ed esplicativi, fatta di tocchi preziosi, ove la categoria del preziosismo s'intenda spoglia delle pristine sovrabbondanze. Impossibili, comunque, nel caso specifico, le letture registiche strampalate, cervelloticamente elucubrate. Aida si ancora a un tempo e a un luogo inamovibili, pur romanzescamente rivissuti, in accordo con il celebrato egittologo Auguste Mariette, cui Zeffirelli pare allacciarsi idealmente, innovando e reinventando senza stravolgere, addirittura risolvendo acutamente la temibile scena del trionfo con una visione dall'interno. Peraltro impressiona il sontuoso dispiego di scene e costumi.
Collima la stessa direzione di Massimiliano Stefanelli, prodiga dì sfumature e morbidezze non sempre osservate nelle produzioni correnti; ma anche di sonorità reboanti là ove le indicazioni dinamiche apposte da Verdi in partitura le esigono. L'orchestra della Fondazione procede a fasi alterne: fragorosa nei soprassalti, rapinosa nelle strette, dà il meglio nella poetica delicatezza dei "soli" (termine da intendere come plurale di "solo"). Conferisce all'insieme l'apporto del coro istruito da Marco Faelli.
Quando una compagnia di canto consta di nomi quasi ignoti, si presuppone che si tratti di giovani promesse del tutto o in parte mantenute. Il che qui si verifica.
Primeggia su tutti l'Amneris di Kate Aldrich, vocalità sovrastante per potenza e qualità, con brunitura d'obbligo e interpretazione temperamentosa. Anche Amarilli Nizza si cala intensamente in parte, delineando, pur fra qualche molesta oscillazione di voce, una Aida prettamente "lirica", trepida, partecipe, schiva di enfasi tonitruante. Walter Fraccaro affronta di petto, animosamente, con asprigno vigore Radames, cui converrebbe una maggiore "sprezzatura" (ad esempio, Verdi non prescrive al si bemolle acuto finale di "Celeste Aida" pp/ = pianissimo / e "morendo", cioè tassative indicazioni dinamiche?).
Figurano con decoro sia l'incisivo Amonasro di Giuseppe Garra sia il maestoso Ramfis di Riccardo Zanellato, oltre ai personaggi di contorno.
Notai assai dolente: l'inamissibile, inaccettabile, imperdonabile soppressione delle danze dell'atto secondo, ovvero quella detta del "piccolo schiavi mori" e soprattutto il basilare "Ballabile" saldato direttamente alla marcia trionfale come sua prosecuzione logica. In Aida non si tratta già di un optional, come ad esempio in Otello, bensì di strutture sostanziali, sinfonicamente integrate, a parte l'intrinseca genialità d'ideazione musicale. Oltretutto al Municipale, che non è il teatrino di Busseto, lo spazio scenico abbonda. Come dire: i baffi alla Gioconda. Non osiamo immaginare, in un caso del genere, le eventuali esecrazioni di un Toscanini, cui la Fondazione s'intitola.
Corollario: si è volatizzata la promessa "partecipazione straordinaria" di Carla Fracci, assente finora ingiustificata (lungi da noi la supposizione che la diva della danza sdegni la provincia).
Francesco Bussi