Lunedì 29 Dicembre 2003 - Libertà
Il pubblico - Tra entusiamo e qualche perplessità
E il critico Daverio: "Mi ha colpito il coinvolgimento dei piacentini"
Non si era forse mai vista al Municipale, in anni recenti, una ressa al botteghino come quella che ha preceduto la "prima" dell'Aida di Zeffirelli.
L'Egitto antico e finto del celebre regista-scenografo fiorentino sembra attrarre i piacentini quasi quanto quello moderno e reale che le agenzie di viaggi vendono (con successo) in queste freddissime feste di Natale. E la tesi secondo cui il teatro lirico (dopo quella, lunga secoli, del Cantante e quella, assai più breve, del Direttore d'Orchestra) sarebbe entrato da anni in un'inedita Età del Regista sembra trovare la sua conferma più eloquente nel fatto che tutte le discussioni che si accendono negli intervalli da lì prendono le mosse: dall'apparato scenico (definizione che include anche gli apprezzatissimi costumi di Anna Anni), più che dalla compagnia di canto (che piace a quasi tutti, con un indice di gradimento che perlatro scema sensibilmente man mano che si sale verso il loggione) o dalla direzione d'orchestra di Massimiliano Stefanelli (che invece mette tutti d'accordo: "Una splendida attenzione ai particolari" si compiace un appassionato che alla lirica confessa di preferire i concerti sinfonici).
Già, la regia. Che Zeffirelli, campione di un teatro d'opera "tradizionale" e rispettoso dell'ambientazione fissata nel libretto, fosse l'uomo giusto per rassicurare (anzi, per galvanizzare) quel vasto pubblico che diffida del "modernismo" di certe regie liriche, era pacifico ("Finalmente abbiamo una scenografia come si deve!" era il commento ricorrente).
Ma che effetto avrebbe fatto lo sbandierato "minimalismo" di questo allestimento su spettatori in gran parte abituati ad associare Aida alle elefantiache - in tutti i sensi - rappresentazioni estive nelle grandi arene all'aperto? Come avrebbe accolto un tale pubblico questa Aida light (definizione di uno spettatore) senza pachidermi, senza grandi movimenti di massa e con balletti "ridotti"? La risposta è stata: con vero entusiasmo.
In mondi ormai davvero lontani come il foyer e il loggione si sentiva lo stesso ritornello: "La regia lirica più bella che il Municipale abbia mai avuto" si sbilanciano tanto Sandro Bosoni ("garante per il sindaco" dell'operato della Fondazione Toscanini come ente gestore del teatro), quanto "Veleno", loggionista veterano che onora il suo soprannome con sulfuree critiche ai protagonisti (ma Gino Del Forno, tenore piacentino per decenni nel Coro della Scala, promuove tutto il cast a pieni voti). L'unico vero rimpianto della maggior parte degli appassionati sono i tagli alla scena del Trionfo. Solo un paio di studentesse stroncano la messa in scena: "Una scenografia kitsch, una regia tv".
Ospite nel palco dell'assessore alla cultura Stefano Pareti è Philippe Daverio, critico d'arte che guida il grande pubblico tv (nel programma Passepartout, Raitre) a prendere confidenza coi linguaggi di pittura, scultura e architettura.
Ed è non solo in nome dell'estetica, ma anche dell'etimologia che Daverio promuove l'allestimento: "Ci dimentichiamo troppo spesso che in latino "opera" è plurale di "opus", lavoro - ammicca - e che un'opera lirica è l'esito di tanti apporti artistici differenti. Ogni rappresentazione va giudicata nel suo complesso, nell'equilibrio dei tre elementi: scenico, vocale e orchestrale. In tal senso, trovo che questa Aida funzioni benissimo. Gli spettatori che si fissano solo sulle voci o sulla direzione d'orchestra sono per me fenomeni maniacali: le grandi voci degli anni '60 sono consegnate agli archivi, ma in compenso oggi beneficiamo di una crescita del sexy, della presenza scenica. La mia attenzione a ogni spettacolo come "fatto complessivo" è tale che arrivo a coinvolgere nel mio giudizio il teatro stesso e addirittura il pubblico".
Questi di Piacenza le piacciono? "Il teatro è stato sottoposto a un bel restauro che gli ha conservato la patina del tempo. Pure questo pubblico mi va a genio: mi piace la regolarità degli applausi a scena aperta, questo coinvolgimento così distante dal distacco del pubblico della Scala anche se qui non si arriva alla vera, sudata atmosfera da ring che si respira al Regio di Parma. Mi pare poi di capire che qui ci siano diversi spettatori alla loro prima opera. E questo è molto bello".
Oliviero Marchesi