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Venerdì 23 Aprile 2004 - Libertà

Carreras, un Requiem da batticuore

Concertistica - Trionfale esecuzione con la "Toscanini" diretta da Giménez in un affollatissimo Duomo. Molti applausi ai solisti, splende il Coro Farnesiano di Pigazzini

Un Duomo gremitissimo ha accolto, ieri sera, José Carreras nel Requiem di Mozart, applaudito a non finire. Per una volta, la Concertistica del Municipale ha lasciato che fossero le volte della cattedrale piacentina a risuonare di suggestive armonie.
La performance, retta con eleganza drammatica dal direttore David Giménez, sul podio a condurre l'Orchestra della Fondazione Arturo Toscanini, si è aperta con la Sinfonia in si minore RV 169 Al Santo Sepolcro di Antonio Vivaldi. Una piccola perla del Vivaldi più malinconico rispetto a quello "popolare" de Le quattro stagioni, misurato nella sua perfezione stilistica e con venature drammatiche intinte nel religioso, rese con espressività dagli esecutori senza eccessi di ombre nelle sonorità.
Poi, tutto s'è fatto più intenso. Era Mozart.
Ma se è vero che i solisti - il soprano Daria Masiero, il mezzosoprano Rossana Rinaldi e il basso Konstantin Gorny capeggiati dal tenore José Carreras, hanno reso giustizia al proprio ruolo, a svettare magistralmente su tutti è stato il Coro Polifonico Farnesiano diretto dal bravissimo Mario Pigazzini. Nessun campanilismo gratuito, anche perché i suddetti coristi non ne hanno bisogno. Il "Farnesiano" proviene da una scuola che è ormai "storia" e l'interpretazione del Requiem di ieri sera ha rappresentato un'ultima, ancor più grandiosa, testimonianza. Resa attraverso Mozart, lo "sregolato genio" dei tre grandi del Settecento viennese, di cui è stata proposta l'opera sacra, una delle più drammatiche e difficoltose (benché nota, anzi per questo motivo ancor più irta) riflessioni sull'esistenza.
Perché ciò che, da sempre, gronda dal Requiem è il Mozart "filosofo del pentagramma", che avvolge nelle sue spirali armoniche dai temi sacri, a ricordare il dramma e la meraviglia della vita e della morte, il simbolo del sacrificio, il dolore dell'ingiustizia e la necessità della speranza. Temi che tutti, religiosamente o come laici, ieri sera abbiam sentito trafiggerci un poco l'anima.
Il maestro Giménez ce lo aveva anticipato nell'ammettere una voluta propensione al Romanticismo, allo Sturm und Drang, più '800 e meno '700. E s'è levato un grande plauso in risposta all'orientamento più pervasivo e meno temperato, adattissimo all'acustica del Duomo.
Brava la Masiero, da subito "in parte", che ha mostrato di meritare il recente 2° premio Voci Verdiane di Busseto. Maggior tensione drammatica nei timbri di Gorny e Rinaldi, perfetti a evocare i passaggi più umbratili. Carreras, intenso e soave. Un tenore che il pubblico ama davvero e la ricchezza e la veridicità della lista dei motivi è ineccepibile. A questi si aggiunga, o si ripeta, la sua capacità di espressione "sentimentale", non solo tecnica, trapelata anche nel "canto del cigno" del grande Amadeus.
E quei magnifici coristi del Farnesiano... fin dal Kyrie, sospinto da dramma e imperiosità. Sequentia Dies irae ha rincarato la dose, prima dell'intromissione di ottoni in Tuba mirum, dialogico cammin sentimentale con le voci. Rex tremendae è uno dei brani più noti in cui il coro è emerso con prepotenza d'angeli e l'orchestra, a sostegno e in alternanza, non è stata da meno. In Recordare i toni si son fatti più lievi: violini e viole han preso per mano il soprano, poi conducendo via via gli altri solisti. E i fiati a sussurrare appena, di quando in quando, nei bassi armonici. Confutatis, oh... son giunte ad inseguirci le ombre della morte, almeno fino a quelle struggenti battute per i violini nell'introduzione del Lacrimosa. Diamanti di un tesoro già ricco e splendente (ma l'"Amen!" finale - giacché scritto col punto esclamativo e segno di crescente dinamica - poteva forse essere ancor più roboante).
Ed anche nelle parti conclusive i coristi di Pigazzini volan su tutti, ben supportati dall'orchestra: quell'Hostias più arieggiato che ha ceduto il podio al controcanto di coro e orchestrali nel Sanctus. Poi il Benedictus e l'Agnus Dei, in cui nuovamente Carreras e solisti han trionfato. E gli ottoni in cerchio, come a chiudere una ghirlanda corale. Ma Mozart è anche colui che risolleva, in un istante, il cuore gonfio di lacrime. Così, è stato sufficiente il levarsi di un oboe a rischiarare il cielo. E, nel finale Communio, è stata davvero "lux aeterna luceat eis, Domine".

Eleonora Bagarotti

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