Giovedì 22 Aprile 2004 - Libertà
Corpi volanti nel fuoco di passione
Municipale - Conclusa la stagione "Tre per Te" con "L'uccello di fuoco" di Gioco-Vita e Aterballetto. Stravinskij secondo Bigonzetti e Montecchi: successo
La stagione del Teatro Municipale si è felicemente congedata dal pubblico con uno spettacolo di nuova produzione, in una fusione suggestiva e coinvolgente tra danza ed ombre. Un commiato, dunque, nel segno distintivo dell'attività trentennale di Teatro Gioco Vita, curatore del cartellone "Tre per te" al Municipale, e compagnia artistica specializzata nel teatro d'ombre. Al numeroso pubblico sono stati proposti due modi molto diversi di lavorare attraverso le forme che la luce proietta sugli sfondi. Due spettacoli, L'uccello di fuoco e Per corpi e ombre, nati entrambi dalla collaborazione tra Teatro Gioco Vita, diretto da Diego Maj, e la Fondazione Nazionale della Danza Compagnia Aterballetto, diretta da Mauro Bigonzetti.
L'uccello di fuoco era già stato affrontato con successo dalla compagnia di Diego Maj dieci anni fa e parte di quel nucleo originario è stato mantenuto, come ad esempio le ironiche sagome dei protagonisti, ispirate agli strampalati personaggi dello scomparso Enrico Baj. Novità invece il ruolo preminente affidato ai danzatori/animatori delle ombre, su coreografie ideate da Mauro Bigonzetti, tra i più celebrati autori contemporanei. Movimenti sempre molto calibrati sulla fascinosa partitura musicale di Igor Stravinskij, compositore ricorrente negli interessi artistico-musicali di Bigonzetti e anche del regista e scenografo Fabrizio Montecchi, da 25 anni collaboratore stabile di Teatro Gioco Vita, "anima" sia del precedente allestimento de L'uccello di fuoco, sia della riproposizione dell'altra sera. Stravinskij come punto di passaggio obbligato per inoltrarsi nel Novecento musicale, L'uccello di fuoco del 1909 come primo frutto della collaborazione tra il compositore e i Balletti Russi di Serghei Diaghilev, fautore di un'idea di contaminazione tra le arti teatrali e visive, che - sia pure per altre vie - risultava realizzata anche nello spettacolo del Municipale. In scena si sono infatti alternati, senza soluzione di continuità, i tre danzatori/performer e le ombre da loro stessi create, attraverso le sagome e il sistema delle luci, in un moto incessante, nel quale avveniva la metamorfosi delle forme. Ombre inghiottite dalle tenebre oppure velate di colori cangianti hanno contribuito allo svelarsi della fiaba, avvolta da subito in un'atmosfera incantata.
Forse per la magia ipnotica dei due enormi occhi, severi e iridescenti, che irrompono nel buio per fissare la platea, dopo di che tutto lo svolgimento diventa credibile, l'attenzione totale e due semplici ponteggi in ferro, collegati da una passerella inclinata, riescono a trasformarsi in un giardino o in un castello stregato.
Il contenuto della storia è noto: da una parte il male, incarnato nei perfidi sortilegi del mago Kastchei, dall'altra il bene, rappresentato dallo scintillante Uccello di fuoco (Anna Banti). In mezzo, l'eroe, il principe Ivan (Alfonso De Giorgi), chiamato a compiere la sua scelta di campo. Un giorno cattura nel giardino del mago l'Uccello di fuoco (prima della lotta tra i due, vediamo lo strano animale volare, profilo trasparente di colori, nel cerchio del cielo, in un'immagine di intensa liricità) che, in cambio della libertà, dona al giovane una piuma d'oro, promettendogli aiuto in caso di pericolo. L'occasione non tarderà a presentarsi. Ivan ama riamato una principessa (Margherita Pirotto) e l'attaccamento tra i due si esprime in un delicato gioco di simmetrie di gesti. Quando la ragazza verrà imprigionata dal mago, il principe per salvarla si caccerà nei guai e sarà l'Uccello di fuoco, trascinando i demoni in un'estenuante danza (ben resa anche nel drammatico groviglio delle ombre deformate) ad assicurare il lieto fine.
Di tono molto diverso Per corpi e ombre, le azioni coreografiche, in prima assoluta, musiche di Stravinskij e coreografie di Bigonzetti, che avevano aperto la serata. I tre danzatori emergevano a poco a poco, quasi con fatica, grazie agli squarci netti, aperti in una bianca "pellicola", che ricordava i Concetti spaziali di Lucio Fontana. Le ombre, studiate da Montecchi, ingigantivano le proporzioni, trasformavano precisi movimenti in goffe caricature, piccole azioni in affermazioni perentorie. Efficace il finale, con il ritorno dei danzatori, ad uno ad uno, tenendosi per mano, nel grembo dello schermo immacolato, che si richiudeva su si loro. Al termine, molti applausi e ripetute chiamate alla ribalta per interpreti e autori.
Anna Anselmi