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Domenica 18 Aprile 2004 - Libertà

E l'auditorium si fa teatro per Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno

Proposte "perle" dall'opera buffa di Ciampi con solisti, orchestra e coro: molti applausi per tutti

Tra le opere liriche che andarono in scena al Teatro San Moisè di Venezia per il Carnevale del 1749 c'era un "dramma comico in tre atti" intitolato Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno, ispirato agli irresistibili eroi contadineschi nati dalla fantasia del bolognese Giulio Cesare Croce (scrittore autenticamente popolare, con una biografia degna dei suoi personaggi: fu fabbro, canterino nelle fiere, improvvisatore di versi affidati a fogli volanti) che nel 1606 pubblicò il romanzo Le astutie di Bertoldo. Con quel libro, la letteratura italiana - e non solo italiana - si arricchì stabilmente di quello che, più che un personaggio, è un vero mito moderno: quello del villano povero e male in arnese che, inviato alla corte del re, riesce ad affascinare tutti a forza di stratagemmi e risposte spiritose, fino a essere chiamato alle più alte onorificenze. A consolidare la dinastia dei Bertoldi provvidero prima un sequel dello stesso Croce, che all'astuto Bertoldo contrapponeva lo stupido e ingenuo figlio Bertoldino, quindi il romanzo (più barocco e "letterato") in cui Camillo Scaligeri della Fratta raccontò i malestri infantili di Cacasenno, il figlio più scemo di Bertoldino. Il successo di questi personaggi si trasferì, nel secolo successivo, sui palcoscenici dell'opera buffa, con una vera pioggia di lavori pressoché omonimi. Tra questi, lo stupendo Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno del 1749 che ho citato all'inizio. Il libretto era di un autore destinato, ben più di Croce, a passare alla storia delle lettere italiane: Carlo Goldoni in persona. La musica era di un compositore allora trentenne, piacentino e destinato a chiudere prematuramente i suoi giorni a Venezia nel 1762: Vincenzo Legrenzio Ciampi. Contrariamente a quello che molti potrebbero pensare, a raccomandare ancora oggi quest'opera a tutti non è tanto il testo di Goldoni (autore, per l'occasione, di versi frizzanti e briosi, ma che non vanno al di là di un generico buon lavoro "da professionista") quanto la stupenda musica del misconosciuto Ciampi, spesso capace di melodie di leggerezza mozartiana. Dobbiamo quindi essere grati al Gruppo Strumentale "Vincenzo Legrenzio Ciampi" che, oltre a onorare da mezzo secolo la memoria del compositore intitolando al suo nome iniziative musicali di altissima levatura, ha offerto l'altra sera alla città una rappresentazione "antologica" di questo Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno, con arie, recitativi e concertati scelti. Teatro di questo spettacolo davvero prezioso, l'affollato Auditorium della Fondazione di Piacenza e Vigevano, dove il Gruppo Ciampi aveva poco prima presentato il libro sui propri 50 anni di attività. Ad assicurare il successo della serata hanno contributo interpreti, di prim'ordine: due bravissimi soprani concittadini (Paola Quagliata e Maria Laura Groppi, rispettivamente nei ruoli di Menghina, moglie di Bertoldino, e della regina Ipsicratea), un mezzosoprano pure concittadino e impegnato in una carriera internazionale come Annamaria Chiuri (nel ruolo en travesti di Re Alboino), un grande basso-baritono "buffo" applaudito nei teatri di tutto il mondo come Romano Franceschetto (Bertoldo), il suo omologo vocale Maurizio Magnini (un bravo Bertoldino), il raffinato tenore Filippo Pina Castiglioni (Erminio, cognato del Re) e Akiko Koga, soprano leggero giapponese e piacentino d'adozione, nella parte del piccolo Cacasenno che beneficia di un'aria tutta sua (la comica Ahi, ahi! Ahi, non farò più). L'ottimo direttore Marco Fracassi ha guidato da par suo la piccola, brillantissima orchestra del Gruppo Strumentale Ciampi, il nome del direttore del Coro del Municipale Corrado Casati era già una garanzia d'eccellenza per la prestazione del Coro Ciampi. La regista Sonia Grandis, sfruttando gli spazi ristretti, ha costruito dal nulla una messa in scena agile, movimentata, vivace il giusto, arricchita dai costumi di Artemio. Ai margini di questo evento culturale si è registrata una piccola polemica. Il musicologo concittadino Mario Giuseppe Genesi ha contestato nei giorni scorsi la definizione di "prima esecuzione in tempi moderni" questa del Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno di Ciampi, citando un allestimento teatrale veronese del 1987 (questo sì, in "prima assoluta moderna"), in cui, tra l'altro, Cecilia Bartoli vestiva i panni di Re Alboino. Claudio Saltarelli, presidente del Gruppo Ciampi e curatore della "riduzione" della partitura rappresentata l'altra sera ha replicato che, in ogni caso, inedita è la versione in cui l'opera è stata rappresentata l'altra sera: "In assenza di edizioni a stampa riviste dall'autore - ha detto Saltarelli - ho cercato di conciliare i diversi manoscritti che ho trovato in quattro biblioteche italiane e francesi". Il lavoro di collage di Saltarelli, che "lega" pezzi chiusi e recitativi di tutti e tre gli atti per inserirli nella vicenda esposta nel solo atto primo, potrebbe forse essere accusato di stravolgere l'originaria fisionomia dell'opera. Ma una tale accusa, per chi conosce la disinvoltura con cui nel Settecento i compositori scomponevano e riassemblavano, per esigenze teatrali, il loro stesso "materiale operistico", non starebbe molto in piedi. Quello che conta è che abbiamo potuto scoprire arie della bellezza di Le vaghe tue pupille (Alboino), Un volto amabile (Erminio), A riveder io torno (l'aria di Bertoldino col comico, onomatopeico "numero" della polenta che "bo-bo-bo-bolle"), l'allegramente misogina Voglio darvi un aricordo e Quando s'incontrano (Bertoldo). E soprattutto i numeri di Menghina, la vera protagonista: Io so quel che costumano, Se di me geloso siete e la cavata Largo, largo alla signora, che una specialista di questo repertorio come Paola Quagliata ha reso in modo tale da strappare applausi entusiastici.

Alfredo Tenni

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