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Venerdì 27 Marzo 2015 - Libertà

Dopo la serata sul paterno condotta da Paolo Ragusa, siamo pronti per la serata sul ruolo materno

L'intervista di PAOLA COSOLO MARANGON

L'intervista
di PAOLA COSOLO MARANGON
Dopo la serata sul paterno condotta da Paolo Ragusa, siamo pronti per la serata sul ruolo materno. Ad aiutarci a trovare il giusto equilibrio tra protezione, accudimento e senso pratico, lasciando il giusto spazio al padre, sarà Lorella Boccalini, counselor e formatrice per il CPP di Piacenza. Scuola Genitori, l'appuntamento è per stasera alle ore 20,45 presso l'Auditorium della Fondazione di Piacenza e Vigevano in via Sant'Eufemia 13 a Piacenza.
Relatore Lorella Boccalini, counselor e formatore del CPP. Il titolo della serata: "Mamma quanta ansia. Come proteggere se stesse e i figli dall'eccesso di preoccupazione materna". Seguiamo quanto ha da dirci in questa intervista.
Si incontrano sempre più madri affannate, protese costantemente verso i figli con il rischio di soffocarli e non lasciar loro il tempo per crescere. Quanto, a tuo avviso, l'eccesso di protezione causa insicurezza nei bambini?
«Questa situazione è comune nella prima fase di vita di un bambino ed ha un valore, quello appunto della protezione. Finché un bambino è piccolo i genitori hanno un compito naturale, istintivo, quello di proteggerlo, di tenerlo vicino, di difenderlo dai pericoli del mondo esterno. Ma quando questa protezione diventa eccessiva, prolungata nel tempo, allora può diventare un problema. Quando l'ansia per quello che può succedere, per le difficoltà che il figlio potrà avere, diventa un motivo per tentare di controllare tutto, anche gli imprevisti della vita, e di fatto sottrarre l'esperienza ai bambini, si rischia di compromettere uno sviluppo equilibrato e di depotenziare bambini e ragazzi rispetto alla consapevolezza delle proprie risorse. Il comportamento iperprotettivo può far convincere il piccolo di non essere capace di gestire il mondo, neanche in quelle attività che sono alla sua portata».
L'eccesso di accudimento causa senza dubbio un freno allo sviluppo dell'autonomia del bambino. Ci puoi fare qualche esempio legato a questi fattori?
«Ho visto recentemente i risultati di una ricerca di un'Università Australiana. I ricercatori hanno osservato che i bambini che venivano aiutati anche nelle mansioni più semplici erano più inibiti ed introversi, perchè l'ansia materna impediva loro di confrontarsi serenamente con compiti quotidiani (vestirsi, lavarsi,...) e di apprendere anche attraverso gli errori necessari all'apprendimento. Se non si è mai caduti non può prevedere quando si può cadere…Bisogna fare attenzione all'ossessione del controllo, cioè l'intolleranza dell'incertezza, fenomeno diffuso tra mamme di bimbi e ragazzi: non lo mando a giocare dall'amico senza di me perché c'è un tavolo sotto la finestra, lui si arrampica e può cadere, e se sono in troppi a giocare sicuramente qualcuno si farà male. Non lo iscrivo al corso di calcio perché si può far male e i ragazzini sono tutti prepotenti, meglio il nuoto. Ricordo una mamma che per i 5 anni di elementari non ha mandato il figlio a nessuna gita scolastica per il rischio che il pullman rimanesse coinvolto in un incidente. Vogliamo essere sicuri che ai nostri figli non succederà niente. Ma se non si sperimenta non si scoprono le proprie potenzialità e non si impara a darsi dei limiti. E questo eccesso di ansia non lascia indenni i figli, che ne subiscono le conseguenze, condizionando uno sviluppo equilibrato».
Pensare costantemente ai figli potrebbe significare vivere l'epoca dell'accompagnamento alla crescita con eccessiva ansia, non consentendo così di assaporare le tappe dello sviluppo e del necessario distacco. Quanto l'ansia crea delle madri opprimenti? E quanto quest'ansia viene trasmessa ai figli?
«In particolare le donne subiscono fattori esterni, come la pressione sociale nel dover pensare a tutta la famiglia, nel doversi occupare di tutto. Si creano inoltre forti aspettative verso il figlio attraverso cui si cerca di realizzare quello che non si è realizzato. Il bambino viene visto come fragile, e i pericoli come sicuramente dietro l'angolo (perché dovremmo aver paura che un figlio cresciuto in un contesto normale diventi un delinquente in adolescenza?), ma in realtà è la madre a proiettare su di lui la sua stessa fragilità. Certo, l'epoca non è delle migliori, la crisi economica, i rischi dal punto di vista sociale, l'incertezza sul futuro lavorativo dei ragazzi, ma l'eccessiva ansia non aiuta le condizioni di questi ragazzi. Crescere, diventare adolescenti, vuol dire avere delle possibilità di scelta che ci sono proprio in quel momento lì. Quindi è importante mandare ai ragazzi un messaggio non di paura rispetto alla loro adolescenza, ma di viverla, di scegliere, di chiedersi cosa desiderano, come vogliono essere e quali elementi della propria diversità vogliono portare nella società. Per creare nuove prospettive, sperimentare il futuro e trovare la propria strada per uscire dall' infanzia.
Questo dà anche speranza rispetto al futuro possibile. L' adolescenza è un importantissimo momento creativo. La maggior parte dei ragazzi non delinque, non si droga, non finisce in carcere. Va bene accompagnare, valutare man mano i rischi ma anche le opportunità per costruire gradualmente la strada verso l'autonomia, offrendo la possibilità di sperimentarsi per costruire i propri strumenti. L'ansia eccessiva mette a rischio la crescita del ragazzo e la sua possibilità di progettare».
Alle volte le madri pensano di sapere solo loro ciò che serve ai figli, tagliando in qualche modo la figura paterna anche se presente. Cosa pensi al riguardo?
«Nella vita è importante saper cambiare, anche come genitori, cambiano i figli, i loro bisogni e quindi dobbiamo cambiare noi e il nostro ruolo. E la funzione legata al codice materno, di accudimento, di protezione, deve lasciare sempre più spazio alla possibilità di andare alla scoperta del mondo, di rischiare, di costruire la strada verso l'autonomia. E il ruolo del padre diventa sempre più importante».
L'idea che i bambini e i ragazzi non ce la facciano da soli, abbiano cioè il bisogno di stare costantemente sotto il monitoraggio materno non li aiuta ad imparare a stare al mondo. Quali sono i tempi "giusti" dell'accudimento materno in relazione alle età dei figli?
«Il primo anno di vita è quello della devozione. Poi il bambino pian piano inizia a camminare, si allontana, cerca di capire da noi cosa può fare e dove può andare. Man mano acquista sempre più autonomia nelle cose quotidiane, frequenta persone esterne alla famiglia, tenta di cavarsela con i compagni. Noi possiamo scegliere con attenzione le scuole in cui mandarlo, le occasioni di crescita a cui esporlo, ma dobbiamo anche cercare di farlo sperimentare da solo. Come ci ricorda Maria Montessori, ogni volta che facciamo per lui, gli rubiamo l'esperienza. E lo indeboliamo. E poi, crescendo cambierà il nostro modo di occuparci di lui, con una presenza, un progetto educativo, come genitori, da sintonizzare con i diversi bisogni delle diverse età, che gli consenta di trovare la propria strada e di costruire le proprie armi per muoversi nel mondo».
Se ti chiedessi di mandare un twitt alle madri, che cosa diresti loro in un paio di battute?
«Come ci ha ricordato in un recente incontro Silvia Vegetti Finzi " abbiamo bisogno di radici, ma anche di ali"».

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