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Giovedì 19 Marzo 2015 - Libertà

«L'educazione all'arte deve coinvolgere tutti»

Parla l'archeologo e storico dell'arte Salvatore Settis che stasera sarà protagonista di un incontro in Fondazione

piacenza - «La nostra legislazione di tutela è la più antica al mondo, cominciata prima che l'Italia esistesse come entità statale». Eppure, a guardare le sorti del paesaggio e di troppi centri storici, qualcosa non ha funzionato. Salvatore Settis, archeologo e storico dell'arte, chiama in causa alcuni fattori fondamentali: «Le strutture del ministero per i beni culturali sono state depotenziate dai governi di destra e di sinistra che non hanno proceduto a nuove assunzioni, determinando una carenza di organico, e hanno operato tagli cospicui, con l'unica eccezione del primo governo Prodi. Da allora nessuno ha ripristinato i fondi. L'elemento più importante però del degrado nazionale di paesaggio e centri storici è dovuto alla mancanza di educazione all'arte. I cittadini, che dovrebbero vigilare prima e più di chiunque altro, non hanno molto spesso maturato una cultura tale da rendersi conto che ciò che si perde in un paesaggio, in un centro storico, non si recupera più».
Settis, autore di numerose pubblicazioni, tra cui il recente volume: Il mondo salverà la bellezza? , Ponte alle Grazie editore, sarà questa sera alle 21 all'auditorium della Fondazione di Piacenza e Vigevano, in via Sant'Eufemia 12, proprio per parlare de "L'arte educa, educare all'arte", con riferimento al concetto di cittadinanza che appunto, secondo lo studioso, i beni culturali possono aiutare ad acquisire.
«In Italia abbiamo un privilegio di cui non siamo sempre consapevoli. L'articolo 9 della Costituzione afferma che la Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico-artistico della nazione. Significa che la storia dell'arte italiana è parte del patrimonio comune dei cittadini. Se l'arte non riesce a educare a questo, in un Paese come l'Italia, sarebbe un grandissimo fallimento».
Professor Settis, come può avvenire dunque l'educazione all'arte?
«La Costituzione affida il compito soprattutto alla scuola pubblica, ma non basta. L'educazione all'arte deve coinvolgere la vita privata, le famiglie, tutte le occasioni in cui le comunità prendono coscienza di sé stesse. Un luogo importante, nell'attuale fase della storia d'Italia, sono anche le migliaia di associazioni sorte per difendere il patrimonio artistico da operazioni speculative, da distruzioni, da vendita».
C'è un rischio reale di svendita del patrimonio pubblico oggi?
«E' un rischio più che reale, visto che una parte del patrimonio pubblico è già stato venduto negli ultimi dieci anni. Certo, meno di quanto si progettava di fare, anche perché il mercato non ha reagito come ci si aspettava e si è venduto a prezzi molto più bassi. I cittadini erano proprietari di un bene che valeva, mettiamo, dieci miliardi ed è stato venduto a un miliardo, commettendo un errore economico, conveniente soltanto per chi compra».
Quale ruolo possono avere i privati nella valorizzazione del patrimonio storico-artistico? Quale ruolo deve mantenere lo Stato?
«In Italia i privati posseggono castelli, palazzi storici, che costituiscono la maggior parte del patrimonio artistico, quindi hanno un compito di straordinaria rilevanza. Per quanto riguarda i luoghi monumentali di proprietà pubblica, i privati possono avere e hanno già un ruolo importante - basti pensare all'attività esemplare del Fai - purché questo ruolo sia sussidiario. In Italia i privati non potranno mai sostituire lo Stato. La capillarità della presenza del patrimonio storico-artistico sul territorio nazionale rende essenziale che il tessuto di salvaguardia sia pubblico, al quale possono aggiungersi i privati, quando intendono che il loro ruolo non è prendere in gestione i beni per il profitto personale, ma per il bene comune».
Come archeologo, come ha accolto le notizie che arrivano da Siria, Iraq, Libia, Tunisia?
«Con sgomento, non solo per la distruzione di tesori dell'umanità, ma anche perché avviene all'insegna di un gigantesco equivoco. Dicono di distruggere le immagini perché proibite dal Corano e, mentre fanno ciò, riprendono sé stessi con filmati, dunque con immagini, che diffondono in tutto il mondo. Una tale incoerenza dimostra che questi atti di terrorismo hanno un significato politico, più che religioso».

Anna Anselmi

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