Domenica 8 Marzo 2015 - Libertà
L'arte spiegata tra una cascata di caramelle
Dalla Monnalisa a Warhol a Van Gogh, successo al "Filo" per il recital di Vanoni
di MATTEO PRATI
L'armonia, la passione, una fiamma che brucia. Un'intensa dichiarazione d'amore nei confronti dell'arte, un lento costante corteggiamento, il riassunto di un viaggio ventennale alla ricerca di una risposta. Lei, dama dai mille sguardi e dalle forme più svariate, quella risposta la concede solo a chi ha la pazienza di non giudicare ma compie lo sforzo di comprendere. In cammino tra avanguardie e capolavori rinascimentali, sussulti concettuali e prospettive cosmiche, lo scandalo e la rivoluzione. Per scoprire che, come teorizzava Beuys, «ogni uomo è artista». L'opera d'arte ti invita ad andare oltre, ti rende libero. Serve però, di epoca in epoca, saper aggiornare il punto di vista: meglio guardare le cose per quello che non sono.
Carlo Vanoni, sociologo ed esperto d'arte, ha voluto riassumere molti di questi spunti nello spettacolo teatrale L'arte è una caramella con la regia di Gian Marco Montesano. Lo ha fatto sul palco del "Filo" davanti ad una platea gremita. Un'iniziativa organizzata dalla Fondazione di Piacenza e Vigevano e Lino Baldini. Un "assolo" divertente ed educativo. In scena un pianoforte, una chitarra elettrica, una vecchia radio ma soprattutto una cascata di caramelle colorate che richiama un'opera del cubano Félix González-Torres. Vanoni ci prende per mano e ci accompagna intorno a quella dolce catasta che scopriremo solo alla fine essere stata dedicata da Torres al suo compagno di vita Ross Laycock morto di Aids nel 1991. La caramella è a disposizione di tutti. Una via l'altra, finché non ne rimangono più. E' la vita che si consuma. Un girotondo di cinquecento anni. Scorrono le immagini su un megaschermo.
Vanoni suona, coinvolge lo spettatore, gli dona chiavi di lettura nuove. Si rivolge, principalmente, a chi può storcere il naso di fronte all'Orinatoio di Duchamp. L'excursus comincia con il mito della Monnalisa di Leonardo. La Gioconda era nel Salon Carrè a Parigi. Lì finivano i dipinti privilegiati, mentre nel "Salone dei rifiutati" quelli «meno meritevoli». Ad esempio il Manet di Colazione sull'erba. Una tela sgradita come la deplorevole, secondo l'opinione pubblica dell'epoca, Olympia che sconvolgeva il concetto di nudo classico.
Il pubblico parigino guardava con sufficienza gli Impressionisti. Un termine che derivava da impressione: la prima mano di pittura stesa da un imbianchino. Si scopre che Gèrome era più considerato di Renoir e che Van Gogh, nelle sue lettere al fratello Theo, invidiava lo stile di pittori che non possedevano un'oncia del suo talento. Il buon Vincent raggiunse la Provenza per cercare una luce, un bagliore, un colore che non esisteva. Un colore dell'anima.
Da un artista all'altro. A Cezanne non interessava solleticare l'emozione ma puntava a smontare l'immagine. Gli premeva la costruzione dell'edificio. Una pennellata, un colore, ecco le Mont Sainte Victoire. Ci si inoltra nelle terre astratte di Kandinskij in faccia ai suoi quadri "da ascoltare". Vanoni si è soffermato sulla Merda d'artista di Piero Manzoni, comprata in una famosissima asta d'arte al prezzo di 110.000 euro. Siamo nel '900, il secolo di Picasso tra Les demoiselles d'Avignon e Dora Maar. Il movimento, prospettive indefinite, punti di vista relativi. Il percorso non si ferma. Ecco il grido di dolore di Pollock, le sue bombe di colore "raccontate" con una chitarra infuocata da Star spangled banner di Jimi Hendrix, la Marilyn di Warhol, il Taglio di Fontana, l'intuizione e il guizzo che scavalcano le barriere, annullano l'ottusità. Il carillon azionato da Vanoni va spegnendosi. Un ultimo tuffo tra le infinite storie sepolte sotto quella distesa di caramelle e poi, finalmente, Carlo Vanoni può regalarsi una scorpacciata di applausi.