Venerdì 20 Febbraio 2015 - Libertà
Scuola Genitori: questa sera alle ore 20,45 presso l'Auditorium della Fondazione di Piacenza in via Sant'Eufemia 13 a Piacenza la seconda lezione del 2015
Scuola Genitori: questa sera alle ore 20,45 presso l'Auditorium della Fondazione di Piacenza in via Sant'Eufemia 13 a Piacenza la seconda lezione del 2015. Relatore sarà Paolo Ragusa, counselor e formatore del CPP.
Il titolo della serata: "Ci pensa papà. Il ruolo del padre nelle varie età della crescita". Una occasione per interrogarci sul ruolo paterno, sui suoi compiti, su quanto e in quali fasi della crescita dei figli la sua presenza sia più o meno importante. La partecipazione è gratuita e aperta alla cittadinanza.
di PAOLA COSOLO MARANGON
Siamo pronti per la seconda serata della Scuola Genitori. Il tema sarà senza dubbio di vivo interesse, si è tanto parlato di padri inesistenti, senza carattere, scomparsi se non addirittura evaporati. Questa sera Paolo Ragusa, counselor, formatore e vice direttore del CPP, ci aiuterà ad esplorare le competenze paterne in ambito educativo per aiutare i figli a crescere. Lo abbiamo intervistato in anteprima.
Quando il bambino è piccolo, quale è il ruolo del padre? Quanto tempo deve trascorrere con suo figlio?
«Per rispondere prendo a prestito un'immagine tratta dalla letteratura psicologica e più precisamente da Donald Winnicott che diceva: dal primo anno di vita ciò che la madre e il padre (in particolare si riferiva alla madre) possono fare nei confronti del bambino è quello di essere devoti cioè supportare la sua estrema impotenza attraverso un meccanismo di dipendenza. Il padre, ma soprattutto la madre, costruisce una relazione di dipendenza che sostiene il bambino nella sua estrema esposizione all'adulto. Il bambino, sia dal punto di vista pratico/operativo che dal punto di vista psicologico, è angosciato dall'idea di essere totalmente dipendente. Quindi risulta necessario creare una devozione nei confronti del bambino. Nel primo anno di vita la funzione paterna è una funzione di sostegno alla madre e al materno. Potremmo dire (esagerando) che il paterno, in questo periodo, è ridotto al minimo se non in funzione appunto della madre. Questo non significa confondere padre e madre ma significa che c'è un modo materno di essere devoti e ce n'è uno paterno».
Ma il padre ce la farà?
«Il padre è devoto nella misura in cui aiuta e sostiene la madre nella sua difficoltà che è una difficoltà operativa, concreta; ma è anche in difficoltà a rispondere alla domanda che può sorgere nella donna: ce la farò? Il padre sostiene e rassicura: ce la faremo! Dal secondo anno di vita del bambino questo gioco cambia, la distinzione tra il padre e la madre cominciano a prendere corpo: i nutrienti non sono più solo la devozione, ma sono nutrienti diversi che hanno bisogno di qualcuno che li porti avanti, di qualcuno che li fornisca al bambino. C'è un nutriente materno che è diverso dal nutriente paterno pertanto non possono essere nè confusi nè fatti mancare. Il bambino non può essere denutrito di paterno così come non può essere denutrito di materno».
Abbiamo detto che lo specifico materno è un nutriente indispensabile alla nascita e nei primi anni di vita. Per quanto tempo? E possiamo individuare anche uno specifico paterno?
«Lo specifico materno è fatto soprattutto di cura, protezione e soddisfazione dei bisogni: è questo che la madre cura nel primo anno di vita e che porta avanti in maniera diversa e con delle specificità durante la prima e seconda infanzia anche nella pre-adolescenza. L'intensità di questa cura/protezione data dalla soddisfazione dei bisogni va progressivamente attenuandosi perché allo stato di dipendenza che il bambino vive nei primi anni di vita, si attenua nella seconda infanzia diventando poco pertinente nella pre-adolescenza e nell'adolescenza. A questo gioco di progressivo decrescimento del materno si incastra un crescere del paterno: uno diminuisce e l'altro aumenta. Non solo in termini di quantità ma anche di qualità. Lo specifico del paterno è legato all'aspetto della limitazione che può avere forme diverse: prima infanzia il divieto, seconda infanzia la regolazione, la scoperta e la socialità. »
Quando il bambino ha bisogno di sperimentare una socialità?
«Il bambino già nel secondo e nel terzo anno di vita ha bisogno di sperimentare una socialità che vada oltre la dimensione duale, ovvero la relazione madre e bambino. Ha bisogno di sperimentare una relazione più ampia che è quella del piccolo gruppo di pari e poi del gruppo. Questo è un tratto che va incentivato e sostenuto da parte di entrambi i genitori, ma è il padre che in qualche modo fa da apripista in questa direzione. La madre tenderebbe a proteggere il proprio bambino verso una socialità che produce dipendenza, il padre prova ad aprire verso una socialità che crea abbondanza e autonomia. Successivamente c'è il tema della scoperta: il padre rappresenta, attraverso il suo atteggiamento coraggioso, una buona dotazione per il figlio, perché tutto ciò che c'è di interessante da scoprire e da fare è ancora tutto da essere svelato. La madre presidia ciò che è stato fatto, il padre presidia ciò che va scoperto. Questo è un compito importante che non può fare nessun'altro se non il padre».
Madre e padre sono dunque un continuo interscambio di funzioni e di ruoli. Quanto è importante una coesione educativa tra i due?
«Certamente non va dimenticato che insieme a questa distinzione sia dei ruoli che delle funzioni materno paterno, va giocato dentro a una prospettiva di coesione: non significa creare le condizioni perché ci si contenda il bambino "vediamo chi è più bravo ad educarlo" ma ciò che è importante è che al bambino non deve essere fatto mancare tutto quanto abbiamo esposto sopra. Se c'è una buona coesione, cioè una disponibilità reciproca di riferirsi uno all'altro, una disponibilità reciproca di scegliere ciò che serve al bambino e non ciò che serve o piace ai genitori, allora si può affermare che la sfida educativa nel far crescere i figli è non solo accettata ma anche funzionante: nessun paterno e materno possono operare senza una buona coesione. »
Quale il rischio più grosso che corrono il padre e la madre?
«Oggi il rischio più grosso che corrono il padre e la madre, oltre a quello di scambiare i ruoli/ le funzioni, è quello di contendersi il figlio e quando ci si contende il figlio il rischio è che entrambi vogliano fare la madre - perché è il modo più semplice, più comodo - ma risulta essere di gran lunga più dannoso e meno proficuo per la crescita del bambino. E' utile quindi, fare una buona manutenzione all'interno della coppia, scegliere come giocare il paterno e il materno senza innescare una lotta, un antagonismo volto a conquistare il consenso del figlio».