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Giovedì 19 Febbraio 2015 - Libertà

«Il mio Don Giovanni "americano"»

La regista Cucchi parla dell'opera di Mozart che debutta domani

di GIAN CARLO ANDREOLI
La trilogia Da Ponte-Mozart è il progetto giunto al secondo appuntamento dopo la messinscena di Le nozze di Figaro, con il maestro Aldo Sisillo alla direzione dell'Orchestra Regionale dell'Emilia Romagna e Rosetta Cucchi responsabile della messa in scena. L'atteso incontro con il famoso libertino Don Giovanni è al Teatro Municipale venerdì (ore 20,30, turno A di abbonamento) e domenica (ore 15,30, turno B) nel nuovo allestimento dell'Opera di Tenerife e Comunale di Modena, in coproduzione con Fondazione Teatri e Teatro del Giglio di Lucca. Il Coro Lirico"Amadeus" di Modena è diretto dal maestro Stefano Colò. La regia si avvale delle scene di Andrea De Micheli, e dei costumi di Claudia Pernigotti, luci di Andrea Ricci. In scena, a dar vita al capolavoro avvolto di mistero nell'eterno dissidio fra bene e male, sono il baritono Alessandro Luongo (Don Giovanni), i soprani Yolanda Auyanet (Donna Anna), Raffaella Lupinacci (Donna Elvira), Ayse Sener (Zerlina), il basso buffo Roberto De Candia (Leporello), il tenore Francesco Marsiglia (Don Ottavio), il basso Antonio Di Matteo (Commendatore) e il basso buffo Myamoto Fumitoshi (Masetto).
Se per le Nozze di Figaro la regista Cucchi evocava gli anni '50 del secolo scorso, di un'America felice, agiata, per evidenziare un modo di vivere piacevole che consentiva all'autista di casa di condividere l'elegante auto padronale e i piacevoli amori, con Don Giovanni tutto cambia. La giocosità si fa dramma. «Ho pensato - dice la regista Cucchi -, agli anni '80 sempre negli Stati Uniti, terreno fertile d'avanguardia delle sperimentazioni, durante i quali si evidenziò lo scontro tra una borghesia arroccata, attenta a regole e costumi di rigoroso rispetto, e una gioventù insofferente che si identificava piuttosto con le star del rock e si avventurava pericolosamente, per evadere, per le strade dell'allucinazione. Ho pensato agli anni della gestione Reagan, anni di forti contraddizioni e scontri e fughe alla ricerca di una libertà di costumi che ebbe, nell'insorgere di una malattia fino allora sconosciuta, il segno di una punizione divina. Ho calato l'azione in un locale alla moda, tipo Studio 54, frequentato dall'avanguardia artistica eccentrica, vale a dire Warhol o Basquiat, dove Don Giovanni può muoversi come su un palcoscenico tra fans adoranti, dove la vita dev'essere bruciata nel tutto subito».
Mozart avvertiva la fugacità del tempo, componeva in modo frenetico. Testimonia Da Ponte nelle sue memorie come il compositore gli facesse urgenza del testo di Don Giovanni, in concorrenza con l'opera di Bertati-Cazzaniga. Questa urgenza è condivisa nel personaggio protagonista dell'opera? «Don Giovanni è alla ricerca di qualcosa di inafferrabile - dice Rosetta Cucchi -, per questo è preso dalla smania di fotografare, di fissare ogni momento, persona. Tutto deve stare impresso sulla carta sensibile e sarà quello che resterà di lui. Il cimitero pensato da Da Ponte è la camera oscura dove il seduttore si ritrova con il fido Leporello, dove le ossessioni prendono corpo. C'è un filo rosso nella mia messa in scena della trilogia mozartiana - precisa la regista -, che lega l'ambientazione delle vicende negli Stati Uniti del XX secolo. Don Giovanni è il dramma della modernità, c'è dolore e dissoluzione, quella della gioventù che si ribella e si butta a vivere pericolosamente. Il filo rosso è di sangue».
Di sangue ne scorre nella vicenda di Don Giovanni, che doveva essere giocosa, senza troppe audacie, inscenata a Praga (1787) in onore della sorella di Giuseppe II. La misura tra giocosità e dramma è nella musica di Mozart e nell'ironia dei versi di Da Ponte.

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