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Giovedì 19 Febbraio 2015 - Libertà

«La Libia di oggi? E' come tornare al 1911»

Il giornalista Mauri in Fondazione per il ciclo di incontri "Lezioni letture"

di BETTY PARABOSCHI
E' trascorso più di un secolo da quando Renato Serra, scrittore e critico rimasto ucciso in combattimento sul monte Podgora nel 1915, scriveva che «le guerre non cambiano niente». Oggi non tutti la pensano come lui: lo ha evidenziato il critico letterario e giornalista Paolo Mauri, che ieri mattina è intervenuto all'Auditorium della Fondazione di Piacenza e Vigevano nell'ambito della rassegna Lezioni Letture che quest'anno è dedicata al tema Immagini e letterature della Grande Guerra. Nello specifico Mauri si è occupato di Scritture in guerra: la memorialistica, i giornali di guerra, la propaganda, ma non ha mancato di fare alcuni riferimenti all'attualità.
«A distanza di un secolo non sembra che le cose siano cambiate più di tanto» ha spiegato Mauri, «la Libia è presente come se fossimo ancora nel 1911 e forti sono i venti di guerra che ci circondano a cominciare da quelli che arrivano dall'Isis, a cui spetta la parte dei guerrafondai. Se poi consideriamo che qualche giorno fa sul Corriere della Sera Galli Della Loggia ha espresso un parere favorevole alla guerra come tanti interventisti di un secolo fa è evidente il riaffacciarsi di tesi inconsuete in un Paese che si sperava ormai pacifista: probabilmente abbiamo dimenticato la lezione di Renato Serra per il quale le guerre non cambiano nulla».
Certo quella lezione non l'hanno potuta dimenticare gli studenti presenti ieri mattina, a cui Mauri ha illustrato le diverse posizioni espresse dal panorama letterario e culturale di inizio Novecento: «Su un fronte abbiamo il programma futurista che è guerrafondaio e Papini che sulla rivista "Lacerba" pubblica "Io amo la guerra"» ha spiegato il giornalista, «Renato Serra invece non crede nell'utilità della guerra, tuttavia va volontario perché non intende sottrarsi a un destino che è comune a tutto il Paese. Sull'altro fronte invece troviamo posizioni come quelle di Federico De Roberto, che nel racconto La paura narra del rifiuto di un soldato di prendere posizione in pratica davanti a un cecchino: il protagonista di questo testo sa bene che la sua decisione implica di essere giudicato dalla Corte Marziale, ma non vuole fare una morte stupida. Il racconto, uscito nel 1922, trova difficoltà a essere pubblicato perché la retorica fascista spinge verso la guerra. C'è poi Il buon soldato Svejk di Hasek, un libro umoristico considerato l'emblema dell'antimilitarismo per tutto il Novecento che mette in ridicolo l'apparato militare».

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