Lunedì 9 Febbraio 2004 - Libertà
Fracci: un Amleto lungo il Novecento
Municipale - Pubblico scarso per il balletto del Teatro dell'Opera di Roma con la magnetica étoile e la regia di Menegatti. Nelle suggestioni del Principe un esempio di "teatro corporeo"
Amleto, principe del sogno, il balletto in due atti di Beppe Menegatti con Carla Fracci e il Corpo di Ballo del Teatro dell'Opera di Roma andato scena l'altro ieri e ieri al Municipale (sette minuti di applausi e diverse grida di "brava!" e "bravi!" hanno salutato una "prima" che però ha richiamato meno di 300 spettatori; ancora peggio è andata alla matinée di domenica pomeriggio, cui hanno assistito poco più di 200 persone) narra in forma di balletto l'avventura teatrale di Dame Judith Anderson, la grande attrice che nel 1969, a 70 anni passati, decise di impersonare Amleto. L'operazione è coerente col percorso che da molti anni porta l'innamorato Menegatti a cucire addosso alla moglie i panni di alcune tra le maggiori icone femminili dell'arte e dello spettacolo del '900: Judith Anderson arriva dopo Eleonora Duse, Alma Mahler, Isadora Duncan. La romanzesca gestazione di questo balletto covato per 35 anni ha finito per produrre uno spettacolo dall'impostazione figurativa manierata, quasi didascalica. A tenere banco nelle coreografie di Luc Bouy (già assistente di Mats Ek e firmatario delle coreografie di molti recenti spettacoli della Fracci, tra cui l'intenso Filumena Marturano con le musiche di Nino Rota) è uno stile forse non immemore, anche per le sue punte para-espressionistiche, della new wave del balletto sovietico anni '60. L'emozione di vedere in scena, in carne e ossa, Carla Fracci è difficile a descriversi. E' difficile anche commentare ciò che lei fa oggi nel suo "tardo stile", che forse (specie con una coreografia come quella di Bouy che, tolta la scena iniziale, inibisce alla protagonista quel gioco di braccia che potrebbe essere il suo punto di forza), non può nemmeno più essere chiamato danza nel senso classico del termine: è "teatro corporeo" in senso lato, è recitazione ritmica e mimica in cui la Fracci si conferma "la più attrice delle ballerine" (non dimenticheremo la maschera di sgomento di Amleto aggrappato nel finale all'orlo dell'abisso).
Attorno a lei, prima coperti solo da perizomi poi abbigliati in porpora regale da Annamaria Morelli (che firma anche le sobrie scene "delempickiane"), fanno più che buona figura i primi ballerini: Manuel Paruccini (Orazio), Guido Pistoni (Claudio), la vecchia colonna Salvatore Capozzi (Polonio).
Ma a brillare sono soprattutto le due "coppie regine": il diciassettenne Alessandro Riga incanta nel ruolo di Ofelia e lascia presagire un grande futuro, Alessandro Tiburzi è un Laerte di eccitante fisicità, l'"ospite di lusso" Alessandro Molin è una Gertrude giustamente "flamboyante", Mario Marozzi è un Padre che culla e conforta il Figlio (qui l'Amleto che aleggia è quello di Laforgue). Il capitolo forse più interessante sta nelle musiche: tutte di Sostakovic, il più "amletico" dei compositori (era lui che avrebbe dovuto musicare il più importante "Amleto mancato" del '900, quello di Mejerchol'd): ecco la Suite op. 116a (con la colonna sonora dell'Amleto di Kozincev) e l'op. 32a (con le musiche di scena per il dissacrante allestimento di Akimov del 1932), la Canzone di Ofelia su versi di Blok e il Dialogo di Amleto con la sua coscienza (cantate in scena, rispettivamente, dal soprano Renata Campanella e dal contralto Olivia Andreini); e poi capolavori come la Sonata per viola op. 147, l'Adagio per violoncello e pianoforte, il Quartetto op. 144 arrangiato per orchestra d'archi, oltre al rifacimento di Tea for two intitolato Tahiti trot. Il tutto diretto lodevolmente dal fine novecentista Francesco Sodini alla guida di un'Ofi che ha brillato soprattutto nella bravura nei suoi solisti (Paçalin Pavaci al violino, Luca Manfredi alla viola, Alessandro Zumbrovski al violoncello, Svetlana Cernova al piano).
I comprimari del corpo di ballo (Giordano Cagnin, Domenico Casedonte, Paolo Gentile, Sergio Grandoni, Claudio Landi, Damiano Mongelli, Paolo Mongelli, Mauro Murri, Alfonso Paganini, Gerardo Porcelluzzi e Luca Troiano) - è una delle idee più suggestive - si materializzano nei momenti salienti intorno ad Amleto vestiti da Amleti a loro volta, in alcune delle diverse incarnazioni storiche di un personaggio dai mille volti che sovrasta ogni interprete moderno col peso di una tradizione sterminata. Manca l'Amleto obeso (caro allo stesso Shakespeare, che concepì la parte per il suo robusto attore - feticcio Richard Burbage, ma anche ad Akimov e a Luchino Visconti, che sognò un Amleto con Tino Buazzelli). Ma le leggi del balletto, inesorabili come quelle della gravità, non hanno posto per i "pesi massimi".
Oliviero Marchesi