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Venerdì 23 Gennaio 2015 - Libertà

«Lo stop al Monte di Pietà costerà salato alla Cassa»

Lo storico Fiori: il testamento del proprietario del palazzo stabilisce che, se cessa l'attività, l'edificio passi all'ospedale

Chiudere il Monte dei Pegni? Certo che si può, ma non senza pagare... pegno. Un conto salato, salatissimo: la perdita dello storico palazzo che da cinquecento anni ne è la sede.
E' il tiro mancino che una plurisecolare disposizione testamentaria giocherebbe alla Cassa di Risparmio di Parma e Piacenza. La decisione dell'istituto di credito di abbassare - dal 2 febbraio - la serranda del Monte di Pietà (v. Libertà di ieri) non terrebbe conto del vincolo stabilito nel 1528 da Tommaso Fontana, l'antico proprietario dell'omonimo palazzo all'angolo tra via Poggiali e via del Monte, e cioè che in caso di cessazione dell'attività di erogazione del credito su pegno, la proprietà dell'immobile passi all'ospedale di Piacenza.
Del documento ereditario e della sua "impertinente" clausola si fa dettagliato riferimento nel libro sulla storia del Monte di Pietà scritto da Giorgio Fiori nel 1999 per conto della Fondazione di Piacenza e Vigevano (ex Cassa di Risparmio, ironia della sorte). Il 2 novembre 1528 il notaio Ronzoni rogitava il testamento di Fontana che lasciava il palazzo al nipote disponendo che, se fosse morto senza figli, come avvenne, passasse al Monte di Pietà a condizione che lo adibisse a sede dei propri uffici senza mai alienarlo.
«Vi è un'importante clausola nel testamento», si annota nel libro profeticamente rispetto ai fatti odierni: «In caso di cessazione di attività del Monte, l'edificio deve passare in proprietà dell'Ospedale di Piacenza. La Cassa di Risparmio che ha assorbito il Monte deve perciò sempre gestire una sezione di credito su pegno e proprio nel palazzo Fontana, pena la perdita di questo immobile che è di vitale importanza per l'istituto».
«Vero è», si legge ancora, «che la clausola dovrebbe riguardare solo la parte più antica del palazzo del Monte, quella verso via Poggiali, non quella retrostante che è stata ricostruita su edifici acquistati in tempi successivi». Si tratta d'altro canto dell'ala di maggior valore, quella che, non a caso, al primo piano ospita una preziosa sala quattrocentesca con soffitto affrescato, stanze nobili collegate all'attiguo palazzo dove ha sede la Cassa di Risparmio con ingresso da via Poggiali.
E' stato Fiori in persona, appresa la notizia della chiusura del Monte di Pietà, a prendere contatto con la dirigenza della banca per avvertire della disposizione testamentaria che rischia di costare cara all'istituto di credito. «State attenti perché le volontà di Fontana fanno ancora fede, su queste cose non c'è prescrizione», è stato il tenore del monito lanciato da Fiori come lui stesso ne ha riferito ieri a Libertà. «Al limite la Cassa dovrà contrattare con l'ospedale il mantenimento della proprietà del palazzo, ma è difficile pensare che possa avvenire a costo zero», ne ragionava lo storico che è anche consigliere della galleria Ricci Oddi.
All'Archivio di Stato è conservato il testamento del 1528. E' lì che le parti in causa faranno ora tappa per prendere diretta visione delle volontà del Fontana.

Gustavo Roccella gustavo.roccella@liberta.it

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