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Sabato 13 Dicembre 2014 - Libertà

La storia di Claudia e Irene: ecco la forza del perdono

Una, vedova di un carabiniere morto dopo un'aggressione, l'altra, madre dell'aggressore, ai "Dialoghi per la giustizia"

Due donne unite da una tragedia in comune, dal dolore per una perdita e dalla voglia di perdonare. È la voglia di ricominciare a vivere che ha legato Claudia Francardi e Irene Sisi, fondatrici dell'associazione AmiCainoAbele. Una realtà che si occupa di accompagnare le persone in un cammino di riconciliazione a seguito di un reato grave, fondata sul principio che non esiste la giustizia senza il perdono. Esperienza che ha introdotto il percorso "Dialoghi sulla giustizia", organizzato dall'associazione "Verso Itaca - onlus" di Piacenza, il cui primo appuntamento si è tenuto ieri mattina all'auditorium della Fondazione di Piacenza e Vigevano di via Sant'Eufemia.
"Incontrarsi dopo il reato" il titolo dell'incontro, al quale hanno partecipato le due fondatrici di AmiCainoAbele, il presidente di Asp Città di Piacenza Marco Perini, l'assessore al nuovo welfare Stefano Cugini, la presidente di "Verso Itaca" Stefania Mazza e il garante delle persone private della libertà del Comune di Piacenza, Alberto Gromi. Con loro, in sala, una rappresentanza degli studenti degli istituti superiori "Gioia", "Romagnosi", "Colombini" e "Casali", per interagire direttamente con i protagonisti sui temi in discussione, moderati da Carla Chiappini. Lo spunto lo ha offerto Claudia Francardi, che con molta commozione ha raccontato la vicenda dalla quale è nata l'associazione. Si tratta della "tragedia di Pitigliano" avvenuta nel 2011: Matteo Gorelli, figlio ventenne di Irene, aggredì due carabinieri provocando in seguito il coma vegetativo di oltre un anno e quindi la morte dell'appuntato Antonio Santarelli, marito di Claudia. Da un dramma è sorta la nascita di una realtà che potesse avvicinare le persone in momenti difficili come questo: AmiCainoAbele ha permesso a Claudia e a Irene di rimanere legate e di accompagnare Matteo nel percorso rieducativo, gestito da Don Mazzi. «In questo modo ho avuto la possibilità di conoscere Irene e suo figlio - ha svelato Claudia - di andare a trovarlo in questa comunità e di comprendere il suo stato d'animo. Sia ben chiaro, non sostituisce il carcere, Matteo è consapevole che dovrà pagare per ciò che ha fatto, è qualcosa di parallelo che offre un modo diverso di fare giustizia, di perdonare i colpevoli».
L'obiettivo delle due donne è appunto quello di «fare in modo che la nostra legge faccia diventare obbligatori percorsi simili, accompagnati da persone che possano guidare nel cammino di riconciliazione, per esempio gli psicologi, gli avvocati o i giuristi». Asp Città di Piacenza ha dato il proprio sostegno. Come ha infatti aggiunto il presidente Perini, «è necessario che ci sia una sensibilità diversa rivolta ai nostri carcerati, che non comprenda soltanto il dover scontare la pena prevista ma anche la maturazione del dramma da parte delle vittime coinvolte e quindi un perdono che abbia il potere di avvicinare le persone e non di far provare loro soltanto odio».

Gabriele Faravelli

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