Giovedì 29 Gennaio 2004 - Libertà
Ebrei, le testimonianze nel Piacentino
Presentato alla Fondazione di Piacenza e Vigevano il libro "Ebrei a Piacenza". Il volume ha origine nella ricerca avviata dagli studenti dell'istituto per geometri "Tramello". Riportati alla luce luoghi rimasti a lungo nell'ombra
"Ebrei a Piacenza Per un progetto di recupero e valorizzazione", il libro pubblicato dalla Fondazione di Piacenza e Vigevano per i tipi dell'Editrice Berti, riannoda un dialogo interrotto con le comunità ebraiche che hanno abitato fino al secolo scorso nel Piacentino. Ieri mattina il volume, a cura di Franco Bonilauri e Licia Gardella, è stato presentato all'auditorium Santa Margherita, nell'ambito delle iniziative della Giornata della Memoria. Durante l'incontro, aperto dai saluti del presidente della Fondazione, Giancarlo Mazzocchi, "Ebrei a Piacenza" ha fornito lo spunto per un discorso più articolato sulla possibilità di coesistenza tra più culture, nel quale è stato rimarcato il ruolo fondamentale affidato alle nuove generazioni.
Il libro, pur presentando anche contributi di studiosi, ha origine nella ricerca avviata presso l'istituto per geometri "Tramello", fino allo scorso anno guidato dalla preside Licia Gardella, che ieri è intervenuta per ringraziare chi ha offerto il proprio sostegno e per sottolineare la cura e il rispetto con il quale studenti ed insegnanti hanno portato avanti questo lavoro. Infatti, le uniche testimonianze della presenza ebraica giunte fino a noi senza gravi alterazioni sono i cimiteri, in quanto una disposizione religiosa vieta il disseppellimento dei morti.
I futuri geometri si sono così concentrati sul recupero dei cimiteri di Cortemaggiore e Fiorenzuola. Sepolture che in lingua ebraica sono dette Bet Hakevarot, "casa dei sepolcri" oppure Bet Ha'olam o Bet Almin, "casa dell'eternità", ma anche Bet Hachaim, "casa della vita" o "casa dei viventi". Su quest'ultima definizione si è soffermato ieri il presidente della Provincia, Dario Squeri, evidenziando l'importanza di essere partiti dai segni lasciati dagli ebrei sul territorio per proseguire con una riscoperta storico-culturale più vasta, ancora in corso. Nel cimitero di Cortemaggiore, ad esempio, il cognome più ricorrente tra le tombe è Muggia, imprenditori che introdussero tra '800 e '900 pionieristiche innovazioni in campo agricolo.
Di ampio respiro la relazione di Ezio Raimondi, professore emerito dell'Università di Bologna e presidente dell'Istituto Beni Culturali della Regione Emilia Romagna, istituzione attiva fin dal 1983 con progetti concreti di tutela delle testimonianze storiche dell'ebraismo nella nostra regione. Raimondi ha positivamente sottolineato come i giovani siano protagonisti del libro: "Si sono fatti carico di recuperare le tracce e di ridare valore a queste presenze". Una ricerca che supera il tran tran della quotidianità, per entrare dove la vita e la morte si congiungono, dove veramente acquista un significato profondo il tema della memoria. La storia diventa così, non puro strumento di erudizione, ma mezzo necessario "per conoscere ciò che ci sta intorno", in una ritrovata "solidarietà tra ciò che è, ciò che è stato e ciò che probabilmente sarà, se riusciremo a recuperare ciò che è stato".
Il volume è in grado di "restituire un insieme di voci a luoghi straordinari, rimasti - rispetto all'identità piacentina - ai margini e persino reietti. E' alla fine un'operazione di giustizia". Alle aberranti teorie razziste del '900, che distinguevano uomini e sottouomini, Raimondi ha contrapposto questo recupero storico, paragonandolo ad una riammissione in famiglia di qualcuno che avevamo dimenticato: "E' come se si riacquistasse una fiducia al di là dell'orrore, riconquistando qualcosa che era accanto a noi, ma rimaneva nell'ombra". Nell'epoca "del rischio e della complessità" compito non eludibile rimane "il dialogo per definire e far convivere le nostre differenze".
ANNA ANSELMI