Venerdì 23 Gennaio 2004 - Libertà
Quella Ratassäda di Lommi promessa a Carella
La mise in scena con la Turris nel '78 per onorare un impegno preso col commediografo
La bella doppietta di successi messa a segno dalla Ratassäda al Politeama con la compagnia della Famiglia Piasinteina è stato un avvenimento di quelli da ricordare: divertimento, perché se pure la commedia ha quasi 70 anni, sa ancora ridere e scherzare con la spensieratezza giocosa e balda della gioventù; commozione per quei tempi lontani e "antichi" come un monumento; ed anche una certa aria di festa in famiglia, quella Piasinteina. Oh, che ratassäda! è una culla di ricordi per il sodalizio cittadino. Come è noto, e come in apertura di serata ha sottolineato Danilo Anelli, il razdur del 50° anniversario, l'autore della commedia in dialetto e in musica è Egidio Carella, primo presidente della Famiglia Piasinteina, il razdur della fondazione: Carella e Giulio Lommi furono i padri fondatori dell'associazione, l'atto di nascita del 27 settembre 1953 porta le loro due firme. E Lommi, che fu il razdur del 25° della Famiglia, fu anche quello che nel marzo del 1978 mise in scena una indimenticabile edizione della Ratassäda nel teatro di Santa Maria in Torricella, con la Filodrammatica Turris. Lommi tornava così, se pure eccezionalmente, dopo 20 anni, al teatro. Era stato nella prima gioventù attore simpaticamente brillante e vulcanico regista di commedie musicali e operette. Nel '33, per esempio, colse al Politeama un personale successo con Buonsenso proibito, la più scanzonata e scatenata rivista goliardica della storia locale, in cui con frecciate mordenti ed arguzie spietate venivano sciorinati vizi, vizietti e segreti di mezza Piacenza. Nel '53, nelle file della Filodrammatica Piacentina (era la grande Filo, l'epoca di Enrico Morbelli, Angelo Biavati, Ortensia Bazzani, Luigi Poggi, Calzolari, Durelli, Chiapponi, Rossi ed altri, gli anni d'oro della Società, quando, mi diceva orgoglioso Lommi, si recitavano in media due commedie al mese), è regista e interprete di una memorabile edizione della Vedova allegra; nel '55 dirige al Politeama su invito del Carella Val miga coor; nel '57 l'ultimo lavoro da lui allestito, la carelliana strapiacentina rivista satirica Divieto di afflizione. "Ho recitato - ci aveva raccontato alla vigilia della "sua" Ratassäda - per venti, trent'anni, non so neanche più, acqua passata, un passatempo giovanile. Ormai sono fuori ruolo", aveva esclamato sorridendo. Ma aveva fatto i conti senza l'oste, ossia senza l'irresistibile richiamo del palcoscenico e della voce dell'amicizia. "Era un vecchio impegno che m'ero preso con Carella", ci aveva rivelato, parlando con la sua sigaretta perennemente in bilico fra le labbra. "Eravamo amici fraterni, lui era quello che scriveva, io quello che recitava". Quando Carella ha scritto la Ratassäda, gli aveva detto: me la devi allestire tu. E ci faceva conto, tanto che gli aveva lasciato degli appunti per una messinscena come l'avrebbe voluta lui: all'aperto, in una qualche piazzetta della vecchia Piacenza, un vicolo, un cortile popolare, magari con la fontanina dell'acqua. Ma non era mai capitata l'occasione buona. Poi Carella, nel '60, è morto, e dell'idea non se ne è fatto nulla. Con grande rammarico di Lommi, che si sentiva quasi in colpa per non aver potuto accontentare l'amico poeta. Ma poi inaspettatamente è giunto l'invito della Turris ad assumere la direzione dello spettacolo, e lui non s'è tirato indietro. Così facendo, saldava una sorta di debito morale che aveva ancora in sospeso con l'autore di Oh, che ratassäda!, e al tempo stesso tornava ad un suo vecchio amore, il teatro, un ritorno sentimentale per Carella, per una delle sue più sentite, più vive e vivaci commedie. Un ritorno fra gli applausi. C'erano suonatori in platea e sul palcoscenico nella sua messinscena con la Turris. Il lavoro si apriva con una banda di monelli che giocavano a "mulassa", e un pittoresco duo di armonica a bocca e chitarra collocato su un palchetto in platea sembrava lì apposta per invogliare al ballo anche il pubblico, accomunando nell'azione suonatori, attori e spettatori. Eliminato il sipario, non c'era più confine tra platea e palco, tutta la sala diventava teatro, un grande palco, la strada e il cortile dove si svolge la vicenda. Gli interpreti scendevano a recitare in platea, e gli spettatori (a cui a inizio spettacolo erano stati distribuiti i testi delle canzoni) potevano unirsi al coro degli attori in quelle melodiche arie composte, con piacevole vena musicale, dal maestro Pietro Testori. L'accoglienza fu festosissima: applausi e risate a non finire, a scena aperta e a teatro esaurito, e numerosi bis. Gli interpreti, per la cronaca, erano Giampiero Tramelli, Renato Peveri, Luigi Gobbi, Pinuccio Cuminetti, Umberto Borlenghi, Giorgio Magistrali, Valerio Brolli, Alberto Ferrari, Tina Prati, Lella Tiari, Gabriella Ilari, Angela Calistri e Ilde Campolunghi. L'orchestrina era diretta da Gian Maria Segalini. Pagato il suo "debito" con l'amico commediografo, gli restava però un sogno nel cuore, quel sogno che era stato anche di Carella: rappresentare la Ratassäda dal vivo, immergendola in una prospettiva di casette con le ringhiere, fra panni stesi e davanzali di fiori, inquadrandola in un caratteristico scorcio cittadino. "Ma un giorno o l'altro, se trovo gli elementi giusti, voglio togliermela questa voglia", mi disse sorridendo con l'aria di uno che scherza. Ma non scherzava. Solo che la sua prematura scomparsa non gliene diede il tempo, strappandolo alla sua famiglia e alla Famiglia più grande dei piasintein.
Umberto Fava