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Sabato 25 Ottobre 2014 - Libertà

«Così la nostra musica diventa ancestrale»

Parla Nicola Guazzaloca, impegnato stasera in trio con Viegas e Magliocchi in Fondazione per "Musiche nuove a Piacenza"

di PAOLO SCHIAVI
Dopo il quartetto guidato dal polistrumentista americano Vinny Golia sentito ieri sera alla "Ricci Oddi", la rassegna concertistica d'avanguardia Musiche Nuove a Piacenza ridà appuntamento stasera alle 21 all'Auditorium della Fondazione di Piacenza e Vigevano in via Sant'Eufemia per il concerto del pianista bolognese Nicola Guazzaloca, in trio con il clarinettista portoghese Joao Pedro Viegas e il batterista, didatta e inventore di suoni Marcello Magliocchi.
Un trio nato dal lungo rapporto di amicizia e collaborazione artistica che lega Guazzaloca a Magliocchi, due autentici veterani della musica contemporanea e sperimentale dentro e fuori i confini nazionali: «Marcello ha conosciuto Joao suonando in giro per l'Europa e per il mondo: è stato coinvolto per un fortunato caso, come capita spesso nel nostro ambiente - spiega Guazzaloca - la musica improvvisata è movimento, scambio, viaggio ed estemporaneità. Abbiamo già suonato insieme durante un breve tour l'anno scorso, di cui proprio in questi giorni uscirà una registrazione: un motivo di piacere in più per questa reunion piacentina».
Quali territori esplorerete in concerto?
«Difficile mettere paletti e confini nel nostro campo, anche se esistono: d'altra parte, anche se può sembrare un controsenso, stiamo pubblicando un disco di musica improvvisata, la fotografia di un momento che è stato congelato e che diventa riproducibile, un passaggio attraverso cui si è formato il carattere del gruppo, un momento di incontro particolarmente riuscito cui abbiamo attribuito valenza fondante, un punto da cui partire per spingersi oltre ad ogni nuovo incontro. Ciò che suoniamo è comunicazione e deriva dalla somma e dal rapporto tra il bagaglio culturale di ciascuno: il legame con la classicità tipico del pianoforte incontra elementi timbrici disparati, dovuti soprattutto alle ardite sperimentazioni e costruzioni artigianali di Magliocchi, e tutte le forme della contemporaneità, dall'improvvisazione radicale al free-jazz».
Con che atteggiamento guarda all'improvvisazione e alla ricerca timbrica?
«Tutti e tre partiamo dalla conoscenza del patrimonio jazzistico per andare alla scoperta di un uso e di un'articolazione personale e intima di quei suoni e di quelle modalità. Non ci sono ritmi definiti: tutto succede in quel momento e ciò che conta davvero è il modo, il dialogo, prendendosi la responsabilità di quel che si "dice", perché viene ascoltato da altre persone. Chi fa musica improvvisata deve dare il meglio di sé in termini di esperienza e di conoscenza per interpretare l'esistente e il proprio vissuto in rapporto al luogo, alle emozioni e alle sensazioni estemporanee di ciascuno: trasformare l'evento sonoro in un'esperienza capace di coinvolgere a fondo il pubblico, ritrovando nel processo di partecipazione una ritualità ancestrale che vada oltre la dimensione strettamente musicale, per tracciare percorsi narrativi che mantengano l'attenzione e la partecipazione dell'ascoltatore accesa e curiosa».

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