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Domenica 26 Ottobre 2014 - Libertà

Rumiz e quelle memorie della "Grande guerra"

Pubblico folto alla Casa del Popolo di Rivergaro per i racconti del giornalista accompagnato dalle musiche degli Enerbia

di BETTY PARABOSCHI
Ha ascoltato il "silenzio" che ogni sera, alle 20 puntuali, viene suonato sotto l'arco che ricorda i nomi dei 125 mila soldati dell'armata britannica scomparsi a Ypres, in Fiandra. In un rifugio sulla cima del Pasubio, nel cuore della notte, è stato svegliato insieme ai compagni dagli echi di una festa che nessun'altro avrebbe sentito. In Valsugana ha ascoltato la storia di un centenario e della sua dentiera fabbricata durante la Grande guerra con l'alluminio della spoletta di una bomba. E in Polonia ha dormito, con 2 mele e una coperta, sulle tombe degli italiani che lì, sul quel fronte, riposano da ormai da un secolo.
Paolo Rumiz, narratore prima che scrittore e giornalista di Repubblica, ha raccontato l'altra sera l'intrico di cammini percorsi alla ricerca delle memorie della Grande guerra: lo ha fatto in una Casa del Popolo di Rivergaro gremita in occasione dell'ultimo appuntamento dell'Appennino Festival che in questa occasione ha potuto anche fruire della collaborazione del Centro di Lettura di Rivergaro, delle Cantine Bonelli e del Consorzio dei salumi oltre che della Provincia, della Fondazione di Piacenza e Vigevano.
Il suo reportage sulla prima guerra mondiale è uscito in dvd con Repubblica e ben presto, almeno per quanto riguarda il fronte orientale, diventerà un libro intitolato Come cavalli che dormono in piedi: «La nostra epoca ha dimenticato che i morti sono fra noi e c'è la possibilità di "parlare" con loro» ha spiegato Rumiz, «in Fiandra dopo il suono del Silenzio fatto ogni sera per ricordare i morti inglesi della Grande Guerra tutti abbiamo sentito che c'era un ponte ideale fra noi e "loro", quelli che non c'erano più. Ho pensato che quelle anime che mi circondavano fossero simili a dei cavalli che ruminano nella bruma delle pianure del Nord».
Non è esoterismo quello del giornalista, ma semmai la ripresa di un'arcana tradizione che affonda le sue radici in epoca romana: l'incubatio, ossia il sonno nei luoghi in cui altri sono morti, è stata l'esperienza che Rumiz ha vissuto un anno fa su una collina della Polonia dove stanno sepolti migliaia di italiani. La condivisione della mensa invece per questo narratore della Storia e delle storie è avvenuta nel sacrario di Redipuglia in maniera clandestina: «Credo che uno dei modi per rapportarsi ai morti sia il cammino, ma anche il bere e il mangiare: in tutti i campi di battaglia crescono frutti buonissimi» ha spiegato, «in Serbia ho trovato delle ottime prugne, in Polonia dei mirtilli rossi, in Fiandra dell'indivia e ancora poi delle trote nell'Isonzo, del cinghiale nella zona della Masuria dove c'era stata la battaglia Tannenberg: ho raccolto questi prodotti e li ho mangiati a Redipuglia, sentendo il sollievo e la vicinanza di questi ragazzi lì sepolti e ricordati per una volta senza parate militari e celebrazioni organizzate da chi la guerra non sa neppure cosa sia».
Così è avvenuto anche l'altra sera: accompagnato dai repertori d'epoca lontani eseguiti magnificamente da Maddalena Scagnelli, Franco Guglielmetti (con una superba fisarmonica del 1915) e Massimo Visalli degli Enerbia accompagnati da Anna Perotti, Rumiz ha rievocato una guerra grande per morti e per resistenza, facendo rivivere voci, abitudini, paure, vestaglie amaranto e divise austriache con un rispetto che non è retorica, ma umanità.

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