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Giovedì 16 Ottobre 2014 - Libertà

PiacenzaTeologia riparte dal cibo

Domani e sabato all'auditorium della Fondazione interventi sul tema "Il pane spezzato e condiviso

PIACENZA - "La vita non consiste nel ricercare e nel consumare i carburanti forniti dalla respirazione e dalla nutrizione, ma, se così si può dire, nel consumare dei cibi terreni e celesti". Forse non c'è commento migliore, scritto dal filosofo E. Lévinas, all'Edizione 2014 di PiacenzaTeologia, su "Il pane spezzato e condiviso", che si terrà domani e sabato con due incontri all'auditorium della Fondazione di Piacenza e Vigevano. L'intenzione è di approfondire il tema di Expo 2015 dedicato a "Nutrire il Pianeta" affinché non risponda ad una visione riduttiva dell'uomo, dei suoi bisogni, dei suoi desideri.
Partire dall'alimentazione ci sembra la giusta provocazione per evitare di cadere nella trappola di pensare lo spirituale distinto dal materiale. Come spiegherà l'ebraista Elena Bartolini, "Dio ci renderà conto dei beni che non abbiamo goduto". Sempre Lévinas scrive che "l'essere umano si compiace dei suoi bisogni, è felice dei suoi bisogni". La felicità dell'uomo, la sua realizzazione, è dunque in relazione con i suoi bisogni. Tuttavia, continua Lèvinas, per l'uomo l'atto del mangiare "non si riduce certo alla chimica dell'alimentazione. Ma mangiare non si riduce neppure all'insieme delle sensazioni gustative, olfattive, cinestetiche e via dicendo". L'appropriazione, l'integrazione delle cose che apparentemente si produce nell'atto del mangiare misura invece "il sovrappiù di questa realtà", ci indica che c'è qualcosa d'altro. Cosa intende Lévinas?
Spezzare il pane
Possiamo subito dire che l'alimento che l'uomo mangia è sotto ogni aspetto simbolico ed esprime molto più della sola soddisfazione di un forte appetito. Chi si ricorda Il pranzo di Babette sa che la protagonista aveva messo nel sontuoso banchetto, che prepara spendendo tutti i suoi soldi, i sogni incompiuti di cui si era nutrita per quattordici anni. I cibi che mangeranno i commensali per tutto il film vogliono dunque esprimere molto di più della semplice soddisfazione dovuta alla buona cucina.
Significativa in questo senso la differenza che Silvano Petrosino mostra fra l'augurio di "buon appetito", che sembra indicare il semplice gesto di saziare la fame, rispetto all'invito che ancora è in uso in alcune regioni italiane, dove si comincia il pasto dicendo "Favorite", parola che induce a distogliere lo sguardo dal cibo per considerare il dono che viene fatto e relazionarsi con il donatore.
In quel momento il pasto smette di riguardare il mero bisogno corporale da saziare: bisogna saper mangiare. Oggi, nota Fabio Gabrielli, "immagazziniamo idee come immagazziniamo cibo". Ma come è inutile parlare se non si capisce la lingua, così è inutile prendere il cibo se non si sa come mangiarlo. Il pasto è dunque un rituale, un insieme finalizzato di azioni dettate da regole, un rituale che rende simili i conviviali nella dimensione comunitaria e comunionale di compagni, cioé di coloro che condividono il pane (cum panis). Il cibo può trasformare le persone, così come ha reso "compagni" gli abitanti del freddo villaggio in cui Babette era andata a servire come cuoca.
Condividere il pane
Nel significato cristiano il pane ancora più radicalmente rende compagni perché non può mai essere negato. Non si mangia per saziarsi, come non si digiuna per privarsi del cibo, perché non devi mai distogliere gli occhi dal "compagno": "Non consiste forse [il vero digiuno] nel dividere il pane con l'affamato, nell'introdurre in casa i miseri, i senza tetto, nel vestire uno che vedi nudo, senza distogliere gli occhi da quelli della tua carne? " (Isaia 58, 6-7).
Il pane spezzato è condiviso quando ascolta la voce degli affamati. E' una voce che non ti permette di chiuderti nei tuoi pensieri, che toglie ogni certezza e ti costringe a metterti in discussione. "Sono state misurate - chiede ancora Lévinas - le profondità della fame? ": "Non ci si stupisce abbastanza del sordo linguaggio della fame ("Ventre affamato non ha orecchie" dice il proverbio), sordo ad ogni ideologia rassicurante, sordo ad ogni equilibrio che non sia quello della totalità. La fame è, da sé, il bisogno o la privazione per eccellenza, ciò che costituisce la materialità o la grande franchezza della materia. Privazione che impedisce che ci si consoli di tale privazione nell'immagine di un mondo spiritualmente ordinato; la fame che nessuna musica può acquietare secolarizza tutta l'eternità romantica. Privazione la cui acuità consiste nel disperare di questa stessa privazione".

Enrico Garlaschelli

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